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07/05/2018 06:00:00

Il consenso al boss, “Senza Matteo Messina Denaro, Castelvetrano muore”

Per me non è un boss. Dovrebbe essere sempre libero. Perché se lui non c’è più, Castelvetrano muore”. E’ una delle risposte dei castelvetranesi su Matteo Messina Denaro all’inviato de Le Iene, Ismaele La Vardera, nella trasmissione andata in onda giovedì scorso.

Per più di un intervistato il capomafia è considerato “una persona per bene”. E poco importa se abbia commissionato omicidi. Anzi, qualcuno ha pure detto che la cattiva fama gliel’avrebbero procurata i politici: “Sono stati i politici a farne un boss”.

Ma un paio di persone ne hanno parlato al passato: “Quando c’era la mafia c’era lavoro. Ora lavoro non ce n’è più”, “E’ stato una grande persona, perché ha saputo sempre gestire e far mangiare”. Che la sua presenza, almeno in una parte della percezione popolare, si stia sbiadendo?

Ad ogni modo, sono commenti che fanno il paio con quelli delle persone arrestate per mafia nell’ultima operazione Anno Zero: “Vedi, una statua gli devono fare... una statua... una statua allo zio Ciccio (padre di Matteo Messina Denaro, ndr) che vale. Padre Pio ci devono mettere allo zio Ciccio e a quello accanto... Quelli sono i Santi”.

Ed in parallelo viaggia pure il disprezzo nei confronti dei pentiti.

“Matteo Messina Denaro è un signore – afferma qualcuno ai microfoni di La Vardera - Che sia un delinquente lo dicono quei minchia che si sono buttati pentiti per la magistratura. Perché lo suggeriscono loro a certi delinquenti di dire certe cose”.

Un’avversione che ricorda le recenti intercettazioni di Giuseppe Tilotta, arrestato per mafia nell’operazione dello scorso 19 aprile, quando parla del pentito Lorenzo Cimarosa: “Nel mentre affaccia un cornuto di CIMAROSA pentito… Prendi due ‘picciotti’ e gli vai a sparare lì… a tutti i cavalli… e già è un primo segnale!”.

I figli gestiscono un centro di equitazione, dove nell’agosto scorso fu proiettato l’interessante docufilm di Marco Bova, “Ciapani”. E proprio in quell’occasione, Giuseppe Cimarosa, orgoglioso della scelta del padre di collaborare con la giustizia e tagliare col passato, aveva espresso le sue difficoltà nel rapporto con la città: “Mi è capitato perfino che il fruttivendolo si sia rifiutato di vendermi la frutta”.

Oggi, sappiamo che quel fruttivendolo era Calogero Guarino, un altro dei 21 arrestati di Anno Zero per aver collaborato col cognato del superboss Gaspare Como nelle sue attività illecite, organizzando incontri e riunioni con altri esponenti di Cosa nostra, a disposizione per ritorsioni e danneggiamenti.

Ma si fa fatica ormai a capire come reagisce la città. Soprattutto, quando le reazioni più diffuse sono contro i media, percepiti da troppo tempo in modo persecutorio. E allora, appena si finisce in tv, tutti a dire che hanno intervistato le persone sbagliate, oppure che vogliono far apparire collusa un'intera città. Ma i ristoranti, i bar, le sale scommesse e i negozi di abbigliamento dei mafiosi sono sempre ben frequentati. E Da un bel po', a Castelvetrano, arrestano per mafia la media di 10 persone l'anno. Ognuno di loro ha parenti e amici perfettamente inseriti nella società locale, fatta anche di votazioni, di subappalti, di concessioni edilizie e di “orientamento” del voto nei popolosi quartieri erosi dal disagio e dall'ignoranza.

Eppure, a volte, il problema principale sembra essere “la brutta figura” fatta in televisione.

Una reazione per certi versi comprensibile, che è appartenuta anche ad altri contesti ed altri luoghi in Sicilia.

A Catania, negli anni ’80, l’incriminazione del mafioso Nitto Santapaola per aver partecipato all’omicidio di Dalla Chiesa, aveva catalizzato l’interesse di giornali e televisioni nazionali. Allora, dalle pagine del quotidiano La Sicilia era partita la proposta per la creazione di un “comitato per la difesa della città”, subito ben accolta da professionisti, politici e giornalisti contro la “criminalizzazione generalizzata nei confronti del sud”, ricordando che Catania, in altri tempi, era stata medaglia d’oro del Risorgimento.

Si tratta di reazioni che si ripetono ciclicamente, come quella del movimento “Noi Laboratorio Civico” di Castelvetrano, che proprio qualche mese fa stava valutando se lanciare una petizione popolare per chiedere alle istituzioni di difendere la città dall’accusa di essere mafiosa e collusa con Cosa nostra.

L’impressione è che se nemmeno il commissariamento riuscirà a cambiare le cose, difficilmente riusciranno a farlo le olive ed il pane nero.

 

 Egidio Morici