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07/05/2018 22:00:00

Mafia, si intesta fittiziamente dei beni di Messina Denaro. In carcere un 59enne campano

Va in carcere Vincenzo “’o aulivaro”, Vincenzo Torino, 59enne di San Marzano sul Sarno, riconosciuto responsabile di essersi intestato fittiziamente beni riconducibili al clan di Matteo Messina Denaro, ritenuto l’attuale capo di Cosa Nostra. La Cassazione ha respinto il ricorso in Appello presentato da Torino, che dovrà scontare 3 anni e 3 mesi di reclusione. Ad arrestare il marzanese è stata la polizia di Sarno. Torino era  finito al centro di un’indagine della Dda di Trapani sui beni del “capo dei capi”. Originario del napoletano e residente da anni a San Marzano sul Sarno, svolge l'attività di venditore ambulante di olive (da cui il soprannome). Dato che la zona di Trapani è tra le maggiori produttrici di olive di qualità, in occasione degli approvvigionamenti della materia prima in terra siciliana, Torino avrebbe avuto contatti con la realtà locale e sarebbe venuto a conoscenza della possibilità di ricevere in fitto dal tribunale l’azienda “Fontane d’oro sas” di Campobella di Mazara, una società riconducibile a persone nell’orbita di Messina Denaro, un oleificio finito da anni al centro delle inchieste della Dda.

«La struttura non deve chiudere altrimenti non c’è più fonte di guadagno. Meglio far restare la struttura aperta e non abbandonarla», avrebbe detto Torino, considerato uno degli indispensabili del gruppo per mantenere l’oleificio nell’orbita del clan. La Dda di Trapani ha ritenuto che quella non fosse un’operazione genuina di fitto da parte del marzanese, ma una fittizia messa in campo da venditore di olive con la “Torino Ciro”, ditta intestata al figlio. Il marzanese Vincenzo Torino fu condannato in primo grado a tre anni e sei mesi di reclusione per intestazione fittizia di beni, aumentati poi in Appello a quattro anni per il riconoscimento dell’aggravante dell’aver favorito la cosca trapanese. Torino ottenne poi l’annullamento della misura di prevenzione patrimoniale con il dissequestro di tutte le sue società (ritenute messe su con soldi di provenienza lecita), tra le quali anche la “Torino Ciro”. Con il ricorso respinto dalla Cassazione, si sono aperte le porte del carcere di Salerno.