Ancora i legali della difesa di scena nel processo abbreviato al presunto gotha di Cosa nostra marsalese. Alla sbarra sono dieci dei 14 arrestati nell’operazione antimafia dei carabinieri “Visir” del 10 maggio 2017, per i quali, lo scorso 7 marzo, i pm della Dda Pierangelo Padova e Gianluca De Leo hanno invocato condanne per oltre 137 anni di carcere.
“Alle intercettazioni effettuate nel corso dell’indagine – hanno ribadito altri legali, Luigi Pipitone e Gianpaolo Agate - è possibile dare interpretazioni diverse e alternative rispetto a quelle degli investigatori”.
Luigi Pipitone, che difende diversi imputati, ieri è intervenuto per Massimo Salvatore Giglio e per Aleandro Rallo. Quest’ultimo è nipote di Vito Vincenzo Rallo, il nuovo presunto “reggente” della cosca lilybetana, con già tre condanne definitive per mafia sulle spalle e per il quale i pm hanno invocato la pena più pesante (20 anni di carcere).
Per Aleandro Rallo, invece, è stata chiesta una condanna a 13 anni e 4 mesi e per Giglio 10 anni e 8 mesi. Per entrambi, l’avvocato Pipitone ha chiesto l’assoluzione “perché il fatto non sussiste”, affermando che “i dialoghi intercettati erano relativi a rapporti di lavoro o di natura familiare, non attinenti a possibile appartenenza a Cosa Nostra”. Il legale, inoltre, ha rilevato “discordanze di date” relativamente ad una telefonata che per gli inquirenti si riferisce ad un incontro che Vito Vincenzo Rallo avrebbe dovuto avere con alcuni presunti mafiosi del Palermitano. L’avvocato Agate è, invece, intervenuto per Ignazio Lombardo, detto “il capitano”, di 47 anni, nipote (e per un certo periodo, secondo l’accusa, anche suo sostituto) dell’anziano “uomo d’onore” Antonino Bonafede, padre del capomafia ergastolano Natale Bonafede. Anche per Lombardo i pm hanno chiesto 10 anni e 8 mesi, ma per il suo difensore (altro legale di Lombardo è Paolo Paladino) il “capitano”, dopo essere uscito dal carcere, dove ha scontato una condanna per mafia, “non ha avuto mai più contatti con appartenenti a Cosa Nostra”. L’avvocato Agate, inoltre, chiedendo l’assoluzione del suo cliente, ha definito “inattendibile” il defunto “dichiarante” castelvetranese Lorenzo Cimarosa quando parla di questo contesto marsalese. Le arringhe difensive proseguiranno il 16 maggio. Queste le altre richieste di condanna formulate il 7 marzo dai pm della Dda: 16 anni per Nicolò Sfraga, considerato il “braccio destro” di Rallo, e Vincenzo D’Aguanno, 14 anni per Giuseppe Giovanni Gentile, detto “testa liscia”, e per Simone Licari, 12 anni per Calogero D’Antoni, che il 19 ottobre 2003, a Strasatti, con una fucilata uccise lo zio Giancarlo D’Antoni, pregiudicato, per motivi di gelosia (pare, avesse intrecciato una relazione sentimentale con la moglie dello zio). Dieci anni e 8 mesi ciascuno, infine, oltre che per Lombardo e Giglio, anche per l’imprenditore edile Michele Lombardo. L’inchiesta “Visir” è nata nell’ambito di quella più complessiva che mira a catturare il superlatitante Matteo Messina Denaro, mentre i reati contestati, a vario titolo, ai 14 arrestati del maggio 2017 sono associazione mafiosa, estorsione, detenzione illegale di armi e altri reati aggravati dalle finalità mafiose. Le indagini hanno delineato i nuovi assetti e le gerarchie della cosca di Marsala. E alla luce sono venute anche alcune tensioni interne sull’asse Strasatti-Petrosino (che stavano per sfociare in gravi fatti di sangue) per la spartizione delle risorse finanziarie derivanti dalle attività illecite. Tensioni che all’inizio del 2015 hanno visto l’intervento di Matteo Messina Denaro, che ha imposto la pace facendo intendere che altrimenti sarebbe sceso lui in campo con il suo “esercito”.
Nel processo, sono parti civili Sicindustria e Associazione antiracket e antiusura Trapani, rappresentate dall’avvocato Giuseppe Novara, la singolare Associazione “antimafie” e antiracket “La Verità Vive” di Marsala, il cui legale è il dominus grillino Giuseppe Gandolfo, l’Associazione Antiracket Alcamese (legale Davide Bambina) e il Centro “Pio La Torre” di Palermo (legale Ettore Barcellona).