Di Maio e Salvini sono saliti al Quirinale ieri pomeriggio e, in due colloqui di mezz’ora l’uno, hanno chiesto a Mattarella qualche altro giorno per trovare un accordo di governo.
In serata con un nota Mattarella ha fatto sapere che «non intende impedire la nascita di un governo politico che avvii finalmente la legislatura. Il presidente della Repubblica ha preso atto della richiesta di Lega e M5s di avere qualche giorno in più di tempo».
È apparso abbastanza ottimista Di Maio: «Questi prossimi giorni saranno fondamentali per noi per chiudere il contratto e metterlo in votazione on line».
Più tranchant il segretario leghista: «Ad oggi, per serietà, dico che gli accordi un tanto al chilo non fanno per me. Spero di rivederci il prima possibile, o perché si comincia o perché ci si saluta».
Stando alle parole di Salvini, i temi su cui Cinque Stelle e Lega sono ancora distanti sono: immigrazione; legittima difesa; Europa e vincoli esterni; giustizia; infrastrutture.
La Lega ha fatto sapere che sabato e domenica farà votare nei gazebo allestiti nelle piazze l’accordo di governo con i cinque stelle e che le votazioni saranno aperte a tutti. Il che vuol dire che fino a lunedì prossimo non c’è possibilità che i due partiti tornino da Mattarella.
Né Salvini né Di Maio hanno fatto nomi per il possibile premier. I Cinque stelle hanno smentito l’ipotesi dell’economista Giulio Sapelli. Ha raccontato di aver partecipato domenica all’incontro a Milano e di aver dato, su richiesta dei partiti, la sua disponibilità per la presidenza del Consiglio. Nessuna smentita al momento, invece, sul nome di Giuseppe Conte, professore di Diritto privato all’Università di Firenze. Conte era nella lista di ministri che i Cinque Stelle avevano presentato durante la campagna elettorale (con delega alla Pubblica amministrazione). Chiosa il Corriere della Sera:
«“Altissimo rischio politico, bassa resa”. Sono le cinque parole attribuite a Salvini che nelle ultime ore in Lega si diffondono come fossero uno slogan.Chiedono a Giorgetti se la Lega si stia avviando verso un accordo con i 5 Stelle e lui risponde: “Per le elezioni”».
Salvini è andato ad Arcore a informare direttamente Berlusconi sullo stato delle trattative con i 5 Stelle. «Se sia l’inizio di un ritorno a Canossa non lo sa nessuno» scrive sempre il Corriere. Il Giornale ha titolato la giornata politica con una sola parola: «Dilettanti» seguita dal catenaccio: «Il Di Maio-Salvini è già una comica». Travaglio sul Fatto, sotto il titolo «Il ballo dei debuttanti», difende: «Scrivere del governo Salvimaio che pare stia per nascere è come camminare sulle uova. Perché né Di Maio né Salvini hanno alcuna esperienza di governo, dunque siamo al ballo dei debuttanti [...] Attendere sino a fine settimana, per avere un premier e una squadra rispettabili e un programma preciso e dettagliato che vincoli i dioscuri Di Maio e Salvini sull’annunciato “programma di cambiamento”, non sarebbe una perdita di tempo. Nel 2013 l’inciucio Pd-FI fu siglato in 24 ore». Questa l'analisi di Stefano Folli per Repubblica:
«Conviene a Di Maio tirarla per le lunghe perché il giovane leader dei Cinque Stelle non ha mai avuto una strategia alternativa a quella di andare al governo. Si è spinto molto avanti, ha lasciato intendere di essere impegnato in un passaggio storico — il che per quanto lo riguarda è vero —, ma al dunque il suo piccolo bluff è scoperto. Si può riassumere nel tentativo di trascinare giorno dopo giorno il partner leghista nel labirinto di un negoziato fumoso per indurlo alla fine ad accettare un modesto compromesso sancito dal famoso voto online sulla piattaforma Rousseau. Qualcosa che serve solo a Di Maio per legittimarsi agli occhi dei suoi compagni di avventura, pronti a sbranarlo se dovesse tornare a casa con un pugno di mosche. Una storia bizzarra la cui incongruenza è fotografata dall’inconcludente ricerca di un presidente del Consiglio, quasi si trattasse di un provino cinematografico. Quando invece è lampante che un patto di governo, anzi un capitolo di storia — così è stato venduto sul piano mediatico nei giorni scorsi —, può essere sancito e garantito solo da una forte leadership politica. Non esiste un premier il cui nome viene tenuto nascosto (a proposito di trasparenza...) e compare all’improvviso dopo che il programma è stato votato via web. E non a caso Di Maio ha parlato di lui come di un mero “esecutore”. Il che cozza con la regola costituzionale secondo cui il capo dello Stato ha come interlocutore pressoché esclusivo proprio il presidente incaricato o pre-incaricato. Ossia la persona chiamata a definire il programma su cui dovrà chiedere la fiducia e di conseguenza la squadra dei ministri con cui dovrà attuarlo».