“Credimi, minchia, mi è dispiaciuto tantissimo… mi è dispiaciuto tantissimo… ah… ‘doveva restare in carcere… ha fatto che… ha fatto come…’. Ma fatti i cazzi tuoi, brutto pezzo di merda!”
A parlare, intercettato dagli inquirenti, è il castelvetranese Vittorio Signorello, uno degli arrestati nella recente operazione antimafia Anno Zero. Tra i suoi amici di Facebook, un tizio aveva parlato male di Totò Riina, proprio il giorno della sua morte, e lui lo aveva cancellato dalle amicizie.
Poi aveva condiviso la sua indignazione col cognato di Matteo Messina Denaro, Gaspare Como (arrestato nella stessa operazione):
“Ti giuro sulla tomba di mio padre: ha fatto un commento che mi ha dato fastidio… ma fastidio proprio… Va bene, tieniti la tua opinione tu… ma che minchia scrivi? E sei amico mio? Ma non mi rompere la minchia… corri… boh”.
Gaspare Como, aveva inquadrato allora il “personaggio”: “Ma vedi cosa dice poi degli altri…”.
Ed il Signorello aveva rincarato: “Minchia… ecco… se parla di quello… pensa degli altri… minchia… o no? Allora, fuori dai coglioni. L’ho cancellato. Che voglio queste… queste merde qua io…”.
Secondo Como però un rimprovero a questo tizio andava pur fatto: “Gli dici ‘pezzo di merda, perché non ti metti la divisa, che fai più figura’ gli dici… […] tieniteli per te i commenti”.
Insomma, la sola cancellazione da Facebook non sarebbe certo bastata.
“Appena lo vedo lo battezzo (gliene dico quattro, ndr) – aveva risposto Signorello - gli dico: senti, vedi di tenerteli per te i… i commenti del cazzo… Sulla tomba di mio… minchia ti faccio vedere… appena parla, lo prendo pure a legnate… gli dico: vedi che quello (Riina, ndr) è morto. Succhiala a me ora… per me e per lui pure…”.
Sono conversazioni che, come hanno sottolineato gli inquirenti, definiscono il ruolo apicale del cognato del superboss all’interno dell’organizzazione criminale e, nello stesso tempo, il forte legame della cosca locale con lo stesso Riina.
Ma non si può fare a meno di notare la preoccupazione per il consenso, che evidentemente rimane uno degli assi portanti non solo della latitanza di Matteo Messina Denaro (al di là delle coperture più o meno istituzionali), ma dell’identità stessa del sentire mafioso.
Egidio Morici