Informativa
Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy.
Se vuoi saperne di più negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie. I cookie ci aiutano a fornire i nostri servizi.
Utilizzando tali servizi, accetti l'utilizzo dei cookie. Cookie Policy   -   Chiudi
26/05/2018 06:00:00

Appalti e collusione. La parabola di Pietro Funaro, dalle denunce alla confisca dei beni

Appalti milionari grazie agli appoggi di un comitato affaristico mafioso. E’ un’altra, ennesima, storia siciliana di un "protagonista" della legalità caduto nella rete della corruzione e della collusione con la criminalità organizzata, quella dell’imprenditore Pietro Funaro. Ce ne siamo già occupati alcuni anni fa con questa nostra inchiesta che potete leggere qui.

E’ stata disposta, infatti, la confisca di beni per l’imprenditore edile che un tempo denunciava furti e intimidazioni subiti dalle imprese edili della provincia di Trapani quando era dirigente dell’Associazione Nazionale Costruttori Edili, della quale poi è divenuto vicepresidente regionale. La parabola di Pietro Funaro, 57 anni di Santa Ninfa, scrive un altro finale simile a quello di altri difensori della legalità caduti nel peccato delle collusioni mafiose.

La sezione delle misure di prevenzione del Tribunale di Trapani ha disposto la confisca di ben venti milioni di euro già sequestrati nel 2014 all’imprenditore e al padre Domenico - nel frattempo morto -, a conclusione del procedimento che fa seguito alle indagini condotte dal gruppo specialistico dei poliziotti dell’Anticrimine della questura e dei finanzieri del nucleo di polizia finanziaria. Gli accertamenti degli inquirenti hanno stabilito che le imprese di Funaro hanno gestito appalti milionari nel trapanese grazie all’appoggio di un comitato affaristico-mafioso esteso da Trapani a Castellammare del Golfo, dal Belìce a Marsala.

Le aziende di Funaro si sono aggiudicate lavori edili di primissimo piano. Dalla ristrutturazione della storica tonnara di Favignana all’ammodernamento dell’aeroporto di Birgi, dalla sistemazione di alcune aree archeologiche marsalesi, agli interventi su edifici storici ad Erice. Un monopolio quello delle aziende di Funaro che avrebbe contato in passato su appoggi mafiosi ma anche di alcuni deputati regionali, pronti a votare degli emendamenti in finanziaria al semplice scopo di favorire le attività dell’ex leader dell’Ance Sicilia.

Diverse auto e altri mezzi, un’imbarcazione, oltre 80 conti correnti, undici società, ventidue partecipazioni in altre società, tra Trapani, Campobello di Mazara, Santa Ninfa, Alcamo, Castellammare del Golfo e in provincia di Catania, tutti beni già oggetto di sequestro preventivo. Secondo gli inquirenti, dalle indagini a carico di Funaro, sono emersi rapporti e interessi comuni con il vertice del mandamento mafioso di Trapani, a conferma della spiccata propensione imprenditoriale di Cosa nostra trapanese, capace di condizionare le fasi di aggiudicazione di lavori e forniture per la realizzazione di opere pubbliche.

Di Funaro, tra l’alto, ha parlato il pentito della famiglia mafiosa di Mazara del Vallo, Vincenzo Sinacori, che ha raccontato del rapporto con il mazarese Michele Accomando, condannato per mafia, e coinvolto in indagini che portano ai collegamenti tra Cosa nostra e la massoneria.