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15/06/2018 06:00:00

Com'è andata la "Marina di libri" 2018. Il trend è in aumento, dicono. Ma...

 di Marco Marino

I numeri - fuori dai contesti in cui vengono calcolati - impressionano sempre, danno l'idea di una dimensione perentoria, incontrovertibile. Se ci dicono che rispetto agli anni passati il «trend è in aumento» non possiamo che constatare il già constatato e rimetterci ai dati. Ma per i festival letterari non funziona così, non è soltanto una questione numerica. E soprattutto non funziona così per «Una marina di libri», il più importante festival letterario del Sud Italia che dal 7 al 10 giugno è ritornato, per la sua nona edizione, all'interno dell'Orto Botanico della città di Palermo. 

I numeri di quest'anno sono: 27.000 accessi; 15.000 libri venduti; 300 eventi; 97 editori. Quelli dell'anno scorso erano: 25.000 accessi; 12.000 libri venduti; 250 incontri; 90 editori. Il trend è in aumento. Confrontando i dati, potremmo addirittura aggiungere alcune considerazioni: quasi una persona su due ha comprato un libro; ogni editore ha venduto, in media, meno di 40 libri al giorno; gli accessi sono cresciuti dell'8% e le vendite del 25%. Si tiene sempre presente che sono aumentati gli eventi e gli editori.

 

Eppure «Una marina di libri» non è la somma di questa serie di calcoli, è ben altro. È una realtà, quest'anno impeccabilmente organizzata, che ha saputo architettare un programma ricco per quantità e qualità. Sembra che qualcosa, però, non sia andato come quelle belle percentuali indicano.

 

Dalle impressioni di giornalisti, editori, operatori culturali si sente spesso il medesimo parere: non vince il festival, come momento che arricchisce economicamente e culturalmente la città in cui si innesta, ma vincono gli eventi del festival, che trovano un pubblico costante e quasi sempre interessato perché spinto ad essere lì proprio per il fatto che è venuto a seguire quell'evento.

 

Ma «Una marina di libri» non è un eventificio. Non è una rassegna fatta per incontrare Stefano Benni, Pupi Avati o Tornatore, se così fosse sarebbe solo un lungo ripetersi di incontri con l'autore, senza contesto né fine. Invece la Marina ha un contesto, la città di Palermo, e un fine, ovvero dare la possibilità di avvicinare l'universo editoriale (non il libro in sé, che si può recuperare o ordinare comodamente in libreria) al pubblico di lettori, effettivi o potenziali, che vuole sentirsi sostenitore di quell'universo. 

Il festival, nella suggestiva location dell'Orto Botanico, non arriva in città: diventa un evento, tra i tanti, di Palermo Capitale della Cultura. È un microcosmo chiuso, esplorato da chi vuole portarsi dietro il ricordo del suo scrittore preferito o da chi decide di farsi le sue vacanze intelligenti nel week-end. Non esonda sul territorio, si lascia trovare.

 

Ed è questo forse il motivo principale del successo mancato di un'architettura ottima, dal trend in aumento, ma senza la capacità di investire ciò che sta al di fuori dei cancelli dell'Orto. 

Come se fosse un post scriptum, è necessario fare un'ultima nota sul biglietto d'ingresso. Sebbene molti se ne lamentino ancora e pensino che sia inconcepibile pagarlo e poi acquistare pure un libro, il ticket è una scelta doverosa e sacrosanta, una norma di civiltà che accomuna tutti i festival letterari italiani. Un punto di domanda: perché i 3€ del costo sono interamente indirizzati all'Università, che gestisce l'Orto Botanico, e di quel biglietto nelle casse di «Una marina di libri» non resta niente? Non sarebbe corretto che parte di quei profitti andasse al festival?