Sembrava uscita da un film di spionaggio l'organizzazione criminale scoperta dalla Procura di Palermo. Due gruppi fusi in un unico interesse tra i balcani e la Sicilia. Due gruppi che avevano costruito una rete molto attiva nel traffico di esseri umani, nel riciclaggio di denaro, commercio di diamanti e armi da guerra.
Macedoni, kosovari, siciliani, croati su cui si sono concentrate le attenzioni della Procura palermitana. Gli arresti scattati ieri sono dieci in Italia, di cui cinque palermitani, poi ci sono altri sette indagati a piede libero tra Kosovo, Croazia e Macedonia. Il tutto con rapporti anche con Cosa Nostra e pesanti sostegni a gruppi paramilitari protagonisti di attentati.
Una figura particolare nella organizzazione è quella di Farmir Ljatifi, 47 anni, macedone, ma residente a Palermo e sposato con una siciliana. L'uomo è costretto sulla sedia a rotelle, e fa parte della Panormus, la squadra palermitana di basket in carrozzina. Nessuno avrebbe scommesso che avrebbe fatto da collegamento tra la Sicilia e il gruppo criminale attivo nel portare immigrati irregolari in Italia. Invece le cimici hanno appurato che Ljatifi viaggiava molto ed era a capo dell'organizzazione criminale palermitana. Accanto a lui Giuseppe Giangrosso, 61 anni, barista palermitano. Reclutavano cittadini slavi da far entrare in Italia dietro falsi contratti di lavoro. Coinvolto nel business anche un imprenditore con qualche guai giudiziario alle spalle, Dario Vitellaro 44 anni. Vitellaro finì ai domiciliari per un grosso giro di carte clonate. I tre si vedevano tutti a casa di Vitellaro mentre scontava i domiciliari per organizzare le assunzioni di facciata e consentire agli extracomunitari di ottenere permessi di soggiorno.
L'altra banda era composta da kosovari, tutti guidati da Arben Rexhepi che reclutava i migranti da mandare, attraverso la rotta balcanica, verso l’Italia. I complici - Driton Rexhepi, Xhemshit Vershevci, Franco e Tiziano Moreno Mapelli, Ibraim Latifi e la sua compagna Jlenia Fele Arena - portavano in auto i profughi in Svizzera. I profughi pagavano fino a 3 mila euro a testa per attraversare il confine. Rexhepi è una figura, anche questa, particolare. Oltre ad essere vicino alla mafia albanese, durante la guerra nei Balcani faceva parte di un gruppo paramilitare dell'Uck albanese, vicino all'integralismo islamico.
DENARO SPORCO
Il gruppo macedone-italiano coordinato da Ljatifi si occupava anche di ripulire denaro sporco, nel vero senso del termine. Il gruppo infatti avrebbe lavorato su circa 4 milioni di euro “sporcati” con l'inchiostro dei sistemi di sicurezza dei bancomat e quelli provenienti dai furgoni blindati. Uno stratagemma per scoraggiare i ladri che si ritroverebbero così delle banconote macchiate in maniera indelebile. Il gruppo italo-macedone però avevano trovato il sistema per smacchiare il denaro. Un lavaggio particolare con un solvente che però danneggiavano gli ologrammi delle banconote che servono a rendere complicata la riproduzione. Qui intervenivano dei falsari in Campania capaci di riprodurre fedelmente quell'immagine. Ad occuparsi dell'operazione “smacchiatura” ci sarebbero stati tre palermitani: Francesco Tinnirello, 55 anni, Salvatore Morello, 31 anni, Gabriele Torres, 30 anni. Come? Cercavano sul mercato nero ologrammi fasulli da girare a Ljatifi, ma il prodotto finale non sarebbe stato dei migliori e l'affare non si è concluso.
ARMI DA GUERRA
Ljiatifi, nonostante il suo handicap, riusciva a gestire numerosi affari secondo quanto scoperto dagli investigatori. Tra questi anche il business di armi da guerra come kalashnikov e bombe che avrebbe venduto a una cellula del Nuovo UCK. Tornando dal Kosovo i carabinieri lo fermano all'altezza di Villabate, sequestrandogli cellulari e pc che hanno consentito di venire a capo del traffico di armi. Ma non solo in quei dispositivi sono state trovate anche prove degli affari denaro sporco e del business dei diamanti.
TRAFFICO DI ESSERI UMANI
Ljatifi e Giuseppe Giangrosso sarebbero anche al centro del traffico di migranti irregolari provenienti in Italia dai Balcani. Prima costituivano una società, poi assumevano fittiziamente gli immigrati consentendo loro di ottenere il permesso di soggiorno. I migranti erano pronti a pagare fino a 6 mila euro. Le microspie intercettano il macedone e il palermitano nel suv del primo a discutere di affari, tra i quali soprattutto quello della sistemazione degli immigrati. L'assunzione fittizia avveniva a Palermo, anche se in Sicilia i migranti non sarebbero mai arrivati. L'assunzione era come un lascia passare per tutta l'Italia.