Qualsiasi somma di denaro riferibile alla Lega Nord, ovunque rinvenuta (conti bancari, libretti, depositi), deve essere sequestrata fino a raggiungere l’importo di 49 milioni di euro. È quanto scritto nelle motivazioni della sentenza di Cassazione che accoglie il ricorso del pm di Genova contro la Lega. Al partito di Matteo Salvini sono stati bloccati fino a oggi 1 milione e mezzo di euro. I 49 milioni di cui si parla sono quelli che la Lega ha sottratto durante la gestione Bossi-Belsito secondo una sentenza che ha condannato il fondatore e l’ex tesoriere del Carroccio rispettivamente a 2 anni e mezzo e 4 anni e 10 mesi per truffa ai danni dello Stato sui rimborsi elettorali. Salvini: «49 milioni non ci sono. Posso fare una colletta». Poi ha aggiunto: «È un processo politico su fatti di più dieci anni fa». Giulio Centemero, deputato e amministratore del partito: «Siamo stupiti di apprendere dalle agenzie, prima ancora che dalla Cassazione, le motivazioni della sentenza per cui dovrebbe proseguire il sequestro relativo a 48 (sic) milioni di euro di rimborsi elettorali. Forse l’efficacia dell’azione di governo della Lega dà fastidio a qualcuno, ma non ci fermeranno certo così».
Matteo Salvini ha impiegato un minuto e 38 secondi per coprire la distanza di tre vasche nella piscina di una villa sita in Monteroni d’Arbia, nel Senese, sequestrata undici anni fa (ministro dell’Interno Giuliano Amato) a un boss malavitoso. Messo il piede nell’acqua il ministro-segretario ha esclamato: «Cazzo, è freddina».
Ecco il commento di Mattia Feltri sulla Stampa:
Abbiamo una novità: il ministro dell’Interno nomade. Non è umorismo da dopolavoro, è l’approdo di un lungo viaggio. L’altro giorno, durante il Consiglio dei ministri, Matteo Salvini si gustava il Palio di Siena dalla finestra di Palazzo Pubblico appena conquistato dalla Lega. Una specie di rivincita di Stalingrado: «Non si vede in giro neanche un comunista». Ieri il ministro nomade s’è concesso un tuffo in piscina, ex acque territoriali della mafia, villa sequestrata undici anni fa ai tempi di Prodi premier. S’è smutandato in favore di telecamera per mostrare di che ciccia e muscoli è fatto il governo. Poi come ogni giorno s’è affacciato al balcone portatile, cioè lo smartphone, per la diretta Facebook col popolo. Dicevamo: è un approdo. Anche Luigi Di Maio lunedì sera ha disertato l’istituzionale conferenza stampa e offerto il rendiconto del decreto dignità al suo di popolo, sempre via social. Il cerchio si chiude – approdo di anni di fuga dai luoghi deputati – col ministro dei rapporti col Parlamento, Riccardo Fraccaro, felice che il rapporto non sia ancora stato consumato: zero leggi. Non bisogna produrne, ha detto, meglio così. È la sincera presa d’atto del rantolo della democrazia rappresentativa, che non crede più in sé stessa. Perché stare chiusi nei palazzi a escogitare soluzioni, perché stare lì a scrivere leggi, o migliorare quelle che già ci sono, se rende di più sfoderare tempra e virtù nei talk o su Twitter? Ecco che cosa è la democrazia, in attesa della democrazia diretta: un reality show, un talent, e noi così entusiasti di non essere più elettori, ma giuria popolare.