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23/07/2018 06:00:00

La relazione della DIA. La camorra, la 'ndrangheta e le altre organizzazioni criminali/1

Nei giorni scorsi è stata presentata e consegnata al Ministro degli interni la relazione semestrale della DIA sulle organizzazioni criminali in Italia. Il lavoro presentato dalla Direzione Investigativa Antimafia, in un documento di 386 pagine, analizza l’attualità, la struttura, l’evoluzione e le dinamiche della criminalità organizzata nel nostro Paese fino alla fine di dicembre dello scorso anno.

Uno dei dati principali che accomuna ‘ndrangheta, Camorra, Cosa nostra e le altre organizzazioni criminali è che continuano come da tradizione a puntare su estorsioni, appalti, droga, per i loro affari, ai quali si aggiunge quello dei rifiuti e più recentemente quello che riguarda il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

Due le novità dell’ultimo semestre di studio approfondito della Dia. Una riguarda il modus operandi adottato dalle mafie per mimetizzarsi nella società, specie per quel che riguarda la contaminazione della pubblica amministrazione e dell’economia legale. L’altra importante novità riguarda le formazioni di matrice straniera, per le quali è stato fatto lo sforzo di interpretarne i comportamenti, anche alla luce dei tratti sociologico-criminali che affondano le radici nelle aree di provenienza. Uno studio che si rivela funzionale a decifrare i possibili “Profili evolutivi” di organizzazioni diverse ma che, sul piano degli affari, appaiono convergenti soprattutto fuori dal territorio nazionale.

LA ‘NDRANGHETA
Ma vediamo qual è il punto tracciato dagli inquirenti riguardo alla ‘ndrangheta. L’organizzazione calabrese rimane fortemente strutturata su base territoriale e fondata sulle famiglie, intese proprio come vincolo di parentela, ed è per questo estremamente refrattaria al fenomeno del pentitismo. Costruita su più livelli è provvista di organismi di vertice, che puntano ad operare con processi decisionali unitari. L’analisi del semestre conferma, inoltre, la ramificazione della criminalità organizzata calabrese, costantemente proiettata verso la moltiplicazione della ricchezza e l’esercizio del potere. I rituali di affiliazione secondo quanto scritto dagli inquirenti della Dia, sono indispensabili per definire appartenenza e gerarchie interne, per rafforzare il senso di identità e per dare “riconoscibilità” all’esterno, anche in contesti extraregionali e persino internazionali. L’operazione “Mandamento Jonico” del luglio 2017 ad opera dall’Arma dei carabinieri, ha fornito in questo senso una radiografia strutturale della ‘ndrangheta, individuandone gerarchie ed organigrammi, aggiornando la conoscenza di regole, rituali, cariche, doti e strutture sovraordinate, di cui si è nel tempo dotata per migliorare la propria efficienza operativa.

Le investigazioni hanno riguardato le cosche operanti nei tre mandamenti della Provincia di Reggio Calabria, in particolare quelle del mandamento jonico, facendo emergere uno spaccato completo delle dinamiche associative delle più importanti articolazioni ‘ndranghetiste. Il modello organizzativo appena descritto viene sistematicamente replicato anche al di fuori del territorio d’elezione, dove le cosche cercano in vario modo di accreditarsi per accedere a quei circuiti utili a condizionare scelte politiche e amministrative, regolare rapporti con imprese, enti, banche ed istituzioni. Un’ambizione che, di fatto, ha determinato la proiezione delle ‘ndrine verso le aree più ricche del Paese ed all’estero, dove è ormai consolidata la capacità di riciclare e reimpiegare i capitali illeciti, utilizzando tecniche di occultamento sempre più sofisticate, con il traffico internazionale di stupefacenti che rimane la primaria fonte di finanziamento.

La poliedricità della CAMORRA
In Campania, la criminalità organizzata di tipo mafioso si conferma come fenomeno caratterizzato da equilibri mutevoli e in continua trasformazione, in ragione di un tessuto delinquenziale più che mai complesso. Rimane, come dato costante, la poliedricità del “sistema camorra”, capace di esprimere dei veri e propri cartelli, come riscontrato per i clan napoletani LICCIARDI, CONTINI e MALLARDO, che negli anni ‘90 diedero vita all’Alleanza di Secondigliano, ma che da sempre agiscono d’intesa. Lo stesso pluriennale accordo si riscontra per il gruppo dei CASALESI, che fa capo alle famiglie SCHIAVONE, IOVINE, ZAGARIA e BIDOGNETTI, al quale sono funzionalmente collegati la maggior parte dei clan che operano nella provincia di Caserta.

I CASALESI SI ISPIRANO A C0SA NOSTRA - Il sodalizio dei CASALESI, descritto come associazione che ha mutuato le caratteristiche delle organizzazioni mafiose di origine siciliana, è tutt’ora vitale, nonostante gli arresti e la collaborazione con la giustizia di elementi di vertice. Al pari dei descritti cartelli, risultano fortemente strutturati altri sodalizi che, nel tempo, hanno creato dei veri e propri apparati imprenditoriali, in grado di influenzare ampi settori dell’economia, locale e nazionale (giochi, ristorazione, comparto turistico-alberghiero, edilizia, rifiuti), mostrando una resilienza tale da riuscire ad assorbire i continui colpi dello Stato, rimanendo comunque operativi. Pertanto, la rilevanza mediatica che producono i numerosi e gravi episodi criminosi (agguati, sparatorie, intimidazioni), verificatisi soprattutto nella città di Napoli e nell’area a Nord, non deve indurre ad un’analisi della camorra che limiti la lettura del fenomeno alla matrice delinquenziale di “basso cabotaggio”, caratterizzata dallo scontro tra bande rivali, costituite da nuove, giovani leve, prive di caratura criminale.

Al contrario, non devono essere ignorate dinamiche di sodalizi che appaiono assenti e che, al contrario, operando lontano dai riflettori, godono di tutti i benefici tattico-strategici che ne conseguono, specie per quanto attiene l’infiltrazione nell’economia. Nello stesso capoluogo si rileva la perdurante convergenza tra nuove aggregazioni e storiche organizzazioni della criminalità napoletana. Queste ultime, in particolare, nonostante la detenzione degli elementi di vertice, risultano operative sul territorio di influenza con nuovi asset gestionali, la cui mimetizzazione è frutto di una studiata strategia che, alle dinamiche di violenta contrapposizione, preferisce la gestione di grandi traffici internazionali e la proiezione extraregionale. Quanto descritto vale anche per altri gruppi che operano in provincia trai quali MALLARDO, MOCCIA, POLVERINO, FABBROCINO, GIONTA, tutti dotati di una capacità economica consolidatasi prima nelle zone d’origine, grazie all’indiscusso dominio criminale e successivamente oltre regione, a seguito di una espansione sempre più ramificata.

CRIMINALITÀ ROMANA - Dall’analisi della DIA c’è la conferma che formazioni criminali che operano nella Capitale - che, basate su stretti vincoli di parentela, evidenziano un modus operandi assimilabile all’art. 416 bis c.p. e funzionale alla gestione di attività illecite tipiche, come traffici di droga, usura, estorsioni e reati contro la persona. La realtà criminale romana vede al suo interno qualificate proiezioni delle organizzazioni di tipo mafioso italiane (siciliane, calabresi e campane in primis), che sono riuscite agevolmente ad adattarsi alle caratteristiche socio-economiche del territorio della Capitale. In questo contesto bisogna ricordare l’episodio di Ostia che ha visto un esponente della famiglia SPADA - legata, come noto, da vincoli di parentela con i CASAMONICA - aggredire un giornalista che cercava di intervistarlo. A distanza di pochi giorni dall’accaduto, la Direzione Distrettuale Antimafia di Roma ha disposto il fermo dell’aggressore per lesioni e minacce, aggravate dal metodo mafioso.

APPALTI PUBBLICI - La Direzione Investigativa Antimafia ha dedicato particolare attenzione alla prevenzione ed al contrasto delle infiltrazioni mafiose negli appalti pubblici, interpretando un ruolo propulsivo e di supporto, fondamentale per le attività svolte dai Prefetti per l’emissione di provvedimenti interdittivi antimafia. Si tratta di misure amministrative di particolare utilità in uno dei principali settori d’interesse strategico delle organizzazioni mafiose. L’efficacia di tali provvedimenti, dotati di una forte pervasività e finalizzati ad escludere dal circuito delle commesse pubbliche le aziende permeabili ai tentativi di infiltrazione mafiosa, consente infatti di ostacolare positivamente i tentativi di infiltrazione nello specifico ambito, dove la pressione trasversale delle organizzazioni criminali sulle aziende appaltatrici, costituisce, inoltre, un’ulteriore forma di ingerenza. Lo schermo formale del sub-affidamento di parti consistenti dell’appalto - attraverso le metodiche collaudate del subappalto, del nolo a caldo e/o freddo, del movimento terra, del trasporto e della fornitura dei materiali e delle materie prime, dello smaltimento dei rifiuti – rappresentano, per definizione, le tecniche utilizzate per annullare ogni possibile forma di concorrenza. La DIA avverte fortemente questo impegno ed assicura sul territorio il proprio contributo in termini propositivi e di esperienze operative, anche attraverso un attento e costante monitoraggio delle commesse e degli appalti pubblici.

LE MISURE INTERDITTIVE - Di seguito i dati delle interdittive da parte delle Prefetture del Sud Italia (Calabria – con 110 provvedimenti, Sicilia – con 80 provvedimenti, Campania – con 31 provvedimenti, Puglia – con 27 provvedimenti), regioni notoriamente caratterizzate da una massiccia presenza di organizzazioni mafiose nonché del Nord Italia, con particolare riferimento al Piemonte con 21 provvedimenti, alla Lombardia con 18 provvedimenti e dall’Emilia Romagna - con 29 provvedimenti, che indubbiamente rappresentano un bacino di attrazione per le consorterie criminali stante l’elevato livello economico e produttivo raggiunto. 


 

MONITORAGGI IMPRESE - Fino adicembre del 2017 il controllo delle procedure di affidamento ed esecuzione degli appalti pubblici svolto dalla Direzione Investigativa Antimafia ha riguardato, in particolare, la “Ricostruzione post sisma 2016” nonché le “Grandi Opere” e, più in generale, tutti gli appalti di opere pubbliche sui quali la DIA ha concentrato la propria azione di verifica, per scongiurare ogni possibile forma di infiltrazione mafiosa. Tale attività è stata svolta sia attraverso il monitoraggio, vale a dire un’analisi in profondità delle compagini societarie e di gestione delle imprese, che attraverso gli accessi disposti dai Prefetti per verificare le effettive presenze sui cantieri. Nel semestre in esame sono stati eseguiti 857 monitoraggi nei confronti di altrettante imprese. La tabella che segue riepiloga e distingue per macro-aree geografiche i monitoraggi svolti:

CONTROLLI ALLE PERSONE FISICHE - Parallelamente, sono stati eseguiti  in tutta Italia ben 13.468 controlli sulle persone fisiche, a vario titolo collegate alle suddette imprese. Nel corso del II semestre 2017, la DIA ha provveduto a riscontrare - entro gli stringenti termini normativamente previsti - le richieste di accertamenti antimafia pervenute dalla Struttura di Missione. Si tratta di accertamenti necessari all’iscrizione nell’Anagrafe Antimafia degli Esecutori interessati alla realizzazione di interventi urgenti di immediata riparazione o di ripristino ex art. 8 del citato decreto legge. In tale delicata fase di gestione dei flussi informatici “da” e “per” la citata Struttura di Missione, sono state evase 3.084 richieste di accertamenti antimafia nei confronti di altrettante imprese, estesi a 17.893 persone fisiche collegate.

continua...