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25/07/2018 06:00:00

Relazione Dia. Cosa nostra dopo Riina, il no a Messina Denaro e la mafia trapanese

Concludiamo oggi il nostro speciale dedicato alla relazione semestrale della Dia sulle organizzazioni criminali in Italia e lo facciamo con quella parte che i vertici del Direzione Investigativa hanno dedicato a Cosa nostra, sia nel palermitano che nel trapanese. 

Costa nostra palermitana - Nel secondo semestre del 2017 si sono registrate da un lato delle conflittualità e dall’altro alcuni tentativi di alleanze tra le diverse consorterie. La scomparsa di Salvatore Riina rappresenta per l’intera organizzazione una nuova fase di riassetto degli equilibri. Fino a questo momento, specie nella parte occidentale dell’Isola, cosa nostra trapanese e agrigentina sono state in sintonia con le famiglie palermitane che potrebbero così continuare ad influenzare l’intera consorteria sia nella gestione degli affari illeciti più importanti, sia con riferimento alla guida dell’organizzazione. 

E se si fa riferimento alla gestione non si può non tenere conto del ruolo di Matteo Messina Denaro, la cui leadership - scrivono gli inquirenti della DIA – rimane nella provincia di diretto riferimento. Per il momento Cosa nostra palermitana attraversa una fase di transizione e di rimodulazione, e cerca di conservare una struttura unitaria e verticistica, per cercare di realizzare quanto più possibile dagli investimenti certamente meno rilevanti rispetto al passato.

Riina, l'unitarietà e il sostituto - Anche se detenuto senza soluzione di continuità, dal gennaio 1993, in regime detentivo speciale, anché se molto anziano e in precarie condizioni di salute, ha continuato ad essere il capo di cosa nostra fino alla morte. A differenza di altre organizzazioni criminali, Cosa nostra non può rinunciare a dotarsi di un nuovo capo. La sua forza ha sempre risieduto nell’essere un modello strutturato gerarchicamente, unitario e verticistico e Riina costituiva, almeno da un punto di vista simbolico, una garanzia di unitarietà e monoliticità dell’organizzazione. Per cosa nostra, quindi, la sua morte segna l’inizio di una fase delicata. Un momento da molti atteso, considerato che alcuni boss, visto lo stato di difficoltà da tempo vissuto dalle famiglie, inutilmente si erano spesi per riformare o, quantomeno, far riunire nuovamente l’organismo decisionale di vertice, oppure per investire un sostituto dei poteri di reggenza. In base alle indagini, nelle consorterie mafiose palermitane vi sarebbe un certo fermento per assicurare alla struttura criminale una guida definita, riconosciuta e pienamente operativa. Comunque, la successione di “Totò ‘u curtu” presenta aspetti problematici. È difficile prevederne tempi e modalità, che dipenderanno dagli schieramenti, dalle alleanze tra famiglie e dai nuovi rapporti di forza che si andranno delineando.

NON SARA' MESSINDA DENARO IL NUOVO CAPO - E’ assai improbabile che a succedergli sia Matteo Messina Denaro, pure essendo egli l’esponente di maggior caratura tra quelli non detenuti, ed in grado di costituire un potenziale riferimento, anche in termini di consenso, a livello provinciale.
I boss mafiosi palermitani, storicamente ai vertici dell’intera organizzazione, non accetterebbero di buon grado un capo proveniente da un’altra provincia. Inoltre, negli ultimi anni, il boss di Castelvetrano si sarebbe disinteressato delle questioni più generali attinenti cosa nostra, per poter meglio gestire la latitanza e in particolare interessi del proprio mandamento e della propria provincia. E lo stesso Riina, intercettato in carcere, si era lamentato di tale comportamento.

NO A LEADERSHIP CORLEONESE - Anche la leadership corleonese, ormai provata e decimata, costituita da boss anziani, detenuti con pene definitive all’ergastolo e ristretti in regime detentivo speciale potrebbe adesso essere messa in discussione, evidenziando tutte le difficoltà dell’organizzazione e generando attriti, anche di forte entità. Non può escludersi, peraltro, che giovani capi emergenti ed in via di affermazione profittino della situazione e cerchino spazi per imporsi, entrando in conflitto con anziani uomini d’onore. D’altro canto, è anche possibile che questi ultimi, in alcuni casi tornati in libertà dopo lunghe detenzioni, cerchino di assumere una posizione di leadership formale e definitiva. Cosa nostra palermitana continuerà ad attraversare una fase di transizione e di rimodulazione, durante la quale le componenti più “prestigiose” si confronteranno per definire un nuovo assetto e nuovi capi, sforzandosi di conservare una struttura unitaria e verticistica.

15 mandamenti - Il territorio provinciale risulta suddiviso in 15 mandamenti, 8 in città e 7 in provincia, composti da 80 famiglie, 32 in città e 48 in provincia. Pur continuando a vivere una fase di transizione e un momento potenzialmente critico, cosa nostra palermitana è ancora una struttura con una potenzialità criminale notevole. L’imposizione sistematica del “pizzo” continua a rappresentare non solo una fonte primaria di sostentamento ma, anche, un irrinunciabile strumento di controllo del territorio. Anche il settore dei prestiti ad usura rappresenta, per la criminalità organizzata, un importante canale di finanziamento, in connessione con il fenomeno estorsivo. La gestione del traffico di sostanze stupefacenti rimane, per la mafia siciliana, un primario canale di accumulazione di ricchezza nel quale opera, in un sistema criminale integrato, insieme a ‘ndrangheta e camorra.

Cosa nostra trapanese - In provincia di Trapani Cosa nostra continua ad essere presente nel tessuto economico e sociale facendo leva sul disagio sociale - dovuto alla mancanza di iniziative economico-produttive e aggravato dalla generale e perdurante crisi economico-finanziaria - continua a trovare terreno fertile nella possibilità di reclutamento di manovalanza e in un contesto ambientale ancora, in parte, incline all’omertà.

Struttura - La struttura di cosa nostra trapanese si conferma articolata in 4 mandamenti, che raggruppano complessivamente 17 famiglie, le quali esercitano la propria influenza su uno o più centri abitati della provincia. Anche le caratteristiche di cosa nostra trapanese, così come per quella agrigentina, non divergono da quelle palermitane, evidenziando analoghe strutture organizzative (unitarie e verticistiche, basate sulle stesse regole tradizionali), medesime modalità di suddivisione del territorio, uguali settori d’interesse e strategie operative.

Al pari di quanto descritto per le provincie limitrofe, si registrano momenti di difficoltà dovuti agli “avvicendamenti criminali” determinati dall’azione dello Stato, esercitata sia sul versante preventivo che su quello repressivo e spesso connessa alle ricerche del latitante Messina Denaro. Questi, rappresentante provinciale, continua ad essere il principale ricercato di Cosa nostra. L’incessante attività di ricerca ha continuato a decimarne i favoreggiatori ed a sottrarre dalla sua disponibilità ingenti patrimoni economico-finanziari. In effetti, la rilevante entità dei beni sequestrati a suoi prestanome, o comunque a soggetti in accertati rapporti con la sua famiglia di sangue o di appartenenza mafiosa, fornisce un’indicazione del potere di penetrazione economica e della capacità affaristica di cui negli anni è stato capace.

Un potere che, sebbene rispecchi un trend affaristico in decremento, ha potuto contare sulla collaborazione di una pluralità di soggetti, anche insospettabili. Il 15 novembre 2017 è stato disposto il sequestro del patrimonio mobiliare, immobiliare e societario (stimato complessivamente in 10 milioni di euro) riconducibile al commerciante internazionale d’opere d’arte e reperti di valore storico–archeologico, Gianfranco Becchina, originario di Castelvetrano, già titolare di imprese operanti in Sicilia nei settori del cemento e dei prodotti alimentari. Per oltre un trentennio egli avrebbe accumulato ricchezze con i proventi del traffico internazionale di reperti archeologici, molti dei quali trafugati nel sito di Selinunte da tombaroli al servizio di cosa nostra, ed in particolare del noto boss Francesco Messina Denaro, poi sostituito dal figlio Matteo.

Cosa nostra appare, dunque, ancora capace di condizionare lo sviluppo della provincia, soprattutto per le sue ingerenze nel campo dell’imprenditoria, in particolare nel settore dei pubblici appalti, della filiera dell’agroalimentare, delle fonti energetiche alternative, dell’emergenza ambientale, dei finanziamenti pubblici alle imprese e delle strutture ricettivo-alberghiere.

REINVESTIMENTO NELL'ECONOMIA LEGALE - L’organizzazione mafiosa non rinuncia a reinvestire i proventi illeciti nell’economia legale, acquisendo, attraverso prestanome e intermediari compiacenti, imprese e attività commerciali. Queste ultime, tra l’altro, spesso operano in modo irregolare (ad esempio, evadendo le imposte ed i contributi dovuti, assumendo personale “innero” o non pagando i propri fornitori), attuando così una concorrenza sleale che depaupera il tessuto produttivo sano. La persistente vitalità e operatività di Cosa nostra trapanese trova conferma anche in una forte propensione alle attività estorsive, le quali costituiscono, ancora, da un lato il sistema più immediato per far fronte alle esigenze economiche dell’organizzazione, dall’altro una modalità pervicace di controllo del territorio, che consente di affermare la propria autorevolezza criminale. Nel secondo semestre del 2017 si sono verificati diversi atti intimidatori e danneggiamenti seguiti da incendi ai danni di alcuni operatori economici (commercianti, imprenditori), i quali, secondo un modello consolidato, sono sintomatici della pressione estorsiva esercitata sul territorio dalla criminalità organizzata.

INFLUENZA NELLA POLITICA E OMICIDI - Oltre che nel tessuto economico-sociale, le consorterie mafiose trapanesi sono dotate di una pervasiva capacità di penetrazione dell’attività politico-amministrativa. Al comune di Castelvetrano prosegue la gestione commissariale, deliberata il 6 giugno 2017 per un periodo di diciotto mesi, “...per accertati condizionamenti dell’attività amministrativa da parte della criminalità organizzata”. Anche se nella seconda parte del 2017 non si sono registrate operazioni di polizia che abbiano visto il coinvolgimento diretto di cosa nostra, lo spaccio di droga continua a destare particolare allarme sociale. Inoltre, emerge in tutta la sua gravità il fenomeno della coltivazione di piante di cannabis, che negli ultimi anni ha fatto registrare un incremento. Non sono, infine, mancati gli omicidi. Il 6 luglio è stato assassinato a Campobello di Mazara, Giuseppe Marcianò ritrovato accanto ad un’automobile data alle fiamme. Le modalità di esecuzione e gli stretti rapporti di parentela della vittima con esponenti di spicco della criminalità organizzata, ascrivono ragionevolmente l’omicidio ad ambienti di mafia.