"Il consigliere Rocco Chinnici e tutte le altre vittime della criminalità di tipo mafioso, di tipo terroristico e di tipo comune sono degli esempi per tutti. Non devono rappresentare il ricordo di qualcosa che sta lì ma un modello per perseguire la ricerca della verità, come senso del dovere e soprattutto nel sentimento del dovere''.
Lo ha detto il generale comandante dell'Arma dei carabinieri Giovanni Nistri a margine della commemorazione per ricordare l'eccidio di via Pipitone Federico a Palermo dove 35 anni fa persero la vita il giudice Rocco Chinnici, i carabinieri di scorsa maresciallo Mario Trapassi e l'appuntato Salvatore Bartolotta e il portiere dello stabile Stefano Li Sacchi. ''Senza questa continua ricerca - ha aggiunto - non avrebbe senso aver speso una vita indossando un uniforme o una toga. La commemorazione di oggi delle vittime per la legalità è un momento di ricordo che rappresenta il passaggio del testimone, come avviene nelle staffette da corsa, quando viene passato di mano in mano da chi ha fatto il proprio dovere a chi continuerà a farlo".
Alla cerimonia hanno preso parte anche i figli del magistrato ucciso, Caterina e Giovanni Chinnici, il vicepresidente della Regione Gaetano Armao, il sindaco di Palermo Leoluca Orlando, il prefetto di Palermo Antonella De Miro, il comandante provinciale della guardia di Finanza Giancarlo Trotta, il questore di Palermo Renato Cortese, il comandante provincia del carabinieri Antonio Di Stasio.
Alla cerimonia non ha preso parte uno dei sopravvissuti, Giovanni Paparcuri. "Non ho aspettato le 9,30 l'inizio della cerimonia ufficiale, ma minuto più, - ha scritto su Facebook - minuto meno il mio piccolo pensiero l'ho voluto lasciare esattamente alla stessa ora di 35 anni fa, per Rocco, Mario, Salvatore, Stefano. Un pensiero è andato anche a Cesare, Alfonso, Antonino, Ignazio, miei compagni di sventura di quel giorno, e agli altri 14 feriti. Adesso ho bisogno di uscire in bici". Alle 10 è stata celebrata una messa nella caserma Dalla Chiesa nella sede del comando regionale dei carabinieri.
Famiglia Cristiana propone un'intervista alla figlia di Chinnici, l'eurodeputata Caterina Chinnici. Ecco un estratto (qui l'articolo integrale):
Si chiede mai se ne sia valsa la pena?
“Infinite volte. Mi rispondo che se mio padre, Falcone, Borsellino, tutte persone cui ho voluto bene, hanno creduto in quei valori, in quel lavoro, fino ad accettare il rischio della vita, doveva valerne la pena, anche perché hanno tracciato un percorso senza ritorno: un metodo che ora stiamo provando a sviluppare anche a livello di legislazione europea. Questo non cambia il nostro dolore devastante, ma ci fa dire che non è stato senza senso”.
Ha vissuto da figlia la paura per suo padre, da madre le minacce su di sé: è vero che si teme più per gli altri?
“Indubbiamente. Quando fai una scelta per te stesso sei pronto ad accettarne il rischio, quando il rischio incombe sulle persone che ami la responsabilità è molto maggiore e ci si mette in discussione molto di più”.
Nel libro lei parla anche di perdono: si può pensarci di fronte a una violenza come quella che ha vissuto la vostra famiglia? “
Non sùbito, serve un grande lavoro su sé stessi e non è mai un fatto acquisito: occorre ripercorrere la devastazione vissuta, accettare prima la rabbia, poi il dolore e, dopo, se si riesce, trasformarlo in forza. La fede aiuta, ma il perdono è una decisione che si rinnova ogni giorno e non è per sempre. Per me superare la rabbia è stato indispensabile per continuare a lavorare con serenità di giudizio come magistrato e per ritrovare un equilibrio familiare come persona, moglie e madre. Ma il dolore resta”.
È diventato più pesante il suo cognome da quel 29 luglio?
“Quando sei giovane ti mette a disagio che ti presentino come la figlia di… Sai che ti confrontano come magistrato, non è facile. Quel giorno ha aumentato molto la mia responsabilità, ma mi ha dato anche la fierezza: sono Caterina Chinnici, figlia di Rocco. È diventato parte di me”.