Ma fa il Ministro degli Interni o il capo della Lega? E' la cosa che si chiedono un po' tutti al Viminale, dove le "sparate" di Matteo Salvini, i suoi tweet, i suoi commenti, mettono in imbarazzo dirigenti e funzionari, soprattutto perché cita dati non veri, e gioca sempre sulla paura degli italiani per aumentare consensi, continuando la sua campagna di odio verso i "non italiani".
L’ultima uscita che mette in risalto l’accavallarsi di due ruoli che dovrebbero rimanere distinti - racconta il Corriere della Sera oggi in edicola - è la nota diramata da Matteo Salvini poche ore dopo la denuncia pubblica dell’atleta azzurra di orgine nigeriana Daisy Osakue. Perché dopo aver dichiarato che «ogni aggressione va punita e condannata», torna a definire «una sciocchezza l’emergenza razzismo in Italia» e per dimostrarlo dice: «Solo negli ultimi tre giorni, nel silenzio generale, la Polizia ha arrestato 95 immigrati, mentre altri 414 sono stati denunciati». In realtà negli ultimi tre giorni sono state arrestate 208 persone, dunque anche 113 italiani, ma Salvini decide di non farne cenno, evidentemente per evidenziare i crimini commessi da stranieri e dunque la loro «pericolosità». E così utilizza la funzione di ministro dell’Interno per portare acqua a quella di leader della Lega.
Uno «sdoppiamento» che sta creando imbarazzi all’interno del Viminale proprio per la difficoltà di soddisfare le richieste del titolare del dicastero nella chiave di «mantenere le promesse fatte in campagna elettorale», come Salvini ripete spesso durante le riunioni con i capi dei vari dipartimenti. E fa aumentare tra i responsabili degli apparati di sicurezza la preoccupazione che i continui richiami ai rischi derivati dalla «presenza di massa di clandestini nel nostro Paese» che il ministro evidenzia ormai quotidianamente, scatenino atti di emulazione rispetto agli episodi di intolleranza già avvenuti, con il risultato di moltiplicarli.
Anche perché sono diversi i dossier aperti rispetto ai quali l’interesse da «segretario del Carroccio» appare primario rispetto a quello di titolare del ministero dell’Interno. E la maggior parte riguarda proprio i problemi legati alla presenza degli stranieri nel nostro Paese. Del resto dopo tre mesi dall’ingresso al Viminale Salvini ha evidentemente ben compreso che molte delle famose promesse — prime fra tutte quelle di rimpatriare 500mila clandestini o di aprire un centro di permanenza in ogni Regione — sono praticamente irrealizzabili. E dunque sono altri i tasti che ha deciso di battere per mantenere alto il consenso.
Uno dei punti chiave riguarda il diritto di asilo ai rifugiati. Prima delle elezioni Salvini aveva ripetuto più volte che le regole per la concessione dello status saranno cambiate e il 4 luglio ha emanato una circolare proprio per raccomandare «la riduzione dei tempi per l’esame delle istanze» e la concessione del permesso solo «per seri motivi». Un provvedimento che è stato poi «sollecitato» nell’applicazione dal presidente della commissione nazionale. Un’iniziativa respinta però in maniera netta dal «Tavolo Asilo» perché, viene sottolineato «la Commissione nazionale, così come il ministro, non ha competenza sulle risposte delle Commissioni, che devono essere indipendenti da indicazioni politiche ed essere solamente legate alle previsioni di legge e alle storie personali dei richiedenti, senza alcun intervento che risulti contrario al dettato costituzionale. In particolare poi per i minori non accompagnati richiedenti asilo, la valutazione dovrebbe riguardare in via prioritaria il loro superiore interesse».
Ugualmente controverso è l’intervento sulla «legittima difesa». Salvini ha sempre detto che l’intenzione della Lega era quello di consentire ai cittadini di poter reagire a un’intrusione nella propria abitazione o nel proprio negozio sparando senza incorrere nelle conseguenze previste dal codice penale. In sostanza nel programma elettorale era concessa la «licenza di sparare a chiunque si introduca in un’abitazione privata, annullando la valutazione oggi prevista per legge di proporzionalità fra offesa e difesa».
E questo è stato poi riassunto nel disegno di legge presentato proprio dalla Lega che all’articolo 1 prevede: «Si considera che abbia agito per legittima difesa colui che compie un atto per respingere l’ingresso o l’intrusione mediante effrazione o contro la volontà del proprietario o di chi ha la legittima disponibilità dell’immobile, con violenza o minaccia di uso di armi di una o più persone, con violazione di domicilio». Nelle ultime settimane i tecnici del Viminale hanno più volte spiegato al ministro che una simile previsione avrebbe derogato al principio secondo cui non spetta ai cittadini la protezione dei luoghi, ma alle forze di polizia, ma su questo il leader della Lega non ha mostrato di voler recedere perché, ha spiegato, «sono gli italiani a chiederlo».