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02/09/2018 20:00:00

Nati per amare. Il volontariato volàno della società

Oggi, giornata dedicata alla custodia del creato, una riflessione mi è doverosa fare e, in sintonia con ciò che si celebra, renderla universale (almeno nell’intento). Nella vita ho fatto una scelta: essere dalla parte degli ultimi. Ecco perché da circa cinquant’anni ho messo a disposizione le mie energie, senza interesse «Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (Mt 10,8) e in forma volontaria.

Girando spesso per le strade e le istituzioni varie, ma anche parlando con le singole persone mi sento addosso dei giudizi e degli epiteti sia favorevoli e sia contrari come: “lei fa politica”, “lei è di sinistra”, “lei è egoista”, “lei è più di un prete”, “lei è un santo se fa questo”, “chi glielo fa fare?”, “perché non ve li portate a casa gli immigrati?”…

A parte che quello che spesso dice la gente, soprattutto chi non muove un dito per gli altri, è un modo di aggredire, sembra loro che così facendo abbiano un motivo per giustificarsi, facendo apparire come se conoscessero i vari fenomeni sociali e avessero una soluzione appropriata a qualsiasi problema: sono i sapientoni della società, ma questi non hanno mai risolto nulla. Quello che mi amareggia è l’indifferenza e la pretesa di molti.

Partiamo dai giudizi negativi. Io non faccio politica nel senso che intendono alcuni, ovvero politica partitica (di parte), ma faccio politica nel senso originale del termine greco che significa occuparsi della polis, dell’uomo, dei bisogni dei cittadini. Il mio lavoro ha come obiettivo mettere al Centro il cittadino, soggetto politico, sociale, culturale, religioso… in qualsiasi istituzione, nazione e società. Il mio è un “guardare per operare”: non esiste altra motivazione. Se volete applicarmi un’etichetta, fatelo pure, siete liberi, anche nel darmi dell’egoista, per dire che sono interessato (e lo sono per gli altri) e mi fa comodo fare ciò che faccio; sappiate, però, che, da uomo comune, non è questo né il movente della mia azione, né la finalità per la quale opero. Io dò seguito a ciò che vedo, anche con un semplice sorriso.

Si pretende che il volontariato si dia a tempo pieno per gli altri e le istituzioni, non considerando che chi decide di rendersi disponibile agli altri non fa altro che un lavoro di supplenza nei confronti di chi, lo Stato, avrebbe il dovere di intervenire e lenire le sofferenze di chi si trova in difficoltà. Il volontario non mette da parte se stesso, la famiglia, gli impegni personali: non lo potrebbe, non lo dovrebbe fare, semmai è chi sa
conciliare ed economizzare il tempo, la disponibilità per tutti e quello in cui è coinvolto. Il volontariato è un dono di ciò che siamo e abbiamo, ma è anche un arricchimento perché è amando che si riceve, donando che si ottiene.

Non ci si realizza, poi, aspettandosi una ricompensa: quello non è amore; nella ricompensa saremmo già gratificati. Nel dare agli altri non pensiamo di perdere (alcuni hanno paura a farlo perché, dicono, perdono la loro identità di cittadini, di cristiani, perdono la cultura, il tempo…). Non si perde, ci s’integra e ci si arricchisce; se si ha paura di perdere qualcosa è perché non si possiede veramente e non si
crede realmente in quello che si dice di credere. Il volontariato comporta, però, sacrifici, ma non ci si mettano i singoli e la società, non riconoscendolo come valore, nonostante lo sfruttino, a sovraccaricarne il peso.

Il motivo da cui parto nella mia prestazione è prioritariamente religioso, morale e sociale (quest’ultimo trova le sue radici in quelle precedenti). Sono, prima di tutto cristiano-cattolico, e questo motiva le mie scelte e mi affida una responsabilità universale: la mia vita non è fine a se stessa, ma ognuno è creato per gli altri e per il bene della creazione, d’altronde «Se amate coloro che vi amano, quale ricompensa ne avete?»
(Mt 5,46). La Parola di Dio e i vari insegnamenti, diventano dovere morale per il quale opero: «Non fare agli altri quello che non vuoi che sia fatto a te stesso… fai agli altri quello che vuoi che sia fatto a te stesso»,

«Ama il prossimo tuo come te stesso» (Mc 12,31). Da questo parte l’impegno che si snoda nel campo sociale e culturale, specificamente della mobilità umana: fare comunione con tutti, offrendo tutto noi stessi, corpo, anima, intelligenza, capacità, conoscenze, empatia agli altri esseri, creati a immagine e somiglianza di Dio, a partire da chi è maggiormente nel bisogno, senza distinzione alcuna.

Oggi i bisogni nel mondo sono tantissimi, alcuni reali, altri creati dal nostro perbenismo e dalle nostre ideologie di comodo, ma se ognuno di noi desse (di là dalle parole) l’uno per mille della propria vita, del proprio tempo, dei propri averi per gli altri, degli affetti, non avremmo né povertà, né solitudine, né ammalati mentali… saremmo un tutt’uno con gli altri e risolveremmo i loro problemi, come altri risolverebbero i nostri. Questa non è utopia, utopia è, semmai, pensare a se stessi con esclusione dell’operacosmica di Dio.

 

SALVATORE AGUECI