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10/09/2018 08:41:00

"L'Italia, un brutto Paese"

 Sul Corriere di ieri, Galli della Loggia lamenta che non la nostra classe politica, ma gli italiani tutti formino ormai un «brutto Paese».

«Un Paese incolto nel quale ogni regola è approssimativa, il suo rispetto incerto, mentre i tratti d’inciviltà non si contano. Basta guardarsi intorno: sono sempre più diffusi e sempre meno sanzionate dalla condanna pubblica l’ignoranza, la superficialità, la maleducazione, la piccola corruzione, l’aggressività gratuita. Una discussione informata è ormai quasi impossibile: in generale e specie in pubblico l’italiano medio sopporta sempre meno di essere contraddetto e diffida di chi prova a farlo ragionare, mostrandosi invece disposto a credere volentieri alle notizie e alle idee più strampalate. Non è un ritratto esagerato: è l’immagine che sempre più dà di sé il nostro Paese». È vero che all’inizio la cultura civica era limitata «a quella delle sue élite politiche e del sottile strato di persone a esse in vario modo vicine», però «nel tessuto italiano continuavano pur sempre a esistere una tradizionale civiltà di modi, una costumatezza delle relazioni sociali, un antico riguardo per le forme e per i ruoli, un generale rispetto per il sapere e per l’autorità in genere» e grazie a questo «ebbero modo di mettere radici e di consolidarsi una non disprezzabile educazione civica e politica, una discreta consuetudine alle regole della convivenza e della libera discussione». Agenti di questo diffuso senso civico di massa «la Chiesa, la leva militare, la scuola, la televisione pubblica». Così «fino agli anni 80 la nostra rimase comunque una società strutturata intorno a istituzioni formative consistenti: ciascuna animata a suo modo dalla consapevolezza di avere un compito da svolgere e decisa a svolgerlo». Scomparse quelle istituzioni, «per essere sostituite dalle forme nuove richieste dai “gusti del pubblico”, dagli “indici di ascolto”, dai sindacati, dai “movimenti”, dalle “attese delle famiglie”, dalle “comunità di base”, dalla “pace”, dai “tempi della pubblicità”, dai “bisogni dei ragazzi”, dal desiderio dei vertici di non dispiacere a nessuno,
[...] il Paese è rimasto privo di qualunque sede pubblica deputata alla formazione non solo e non tanto culturale ma specialmente del carattere e della sensibilità civile» avviandosi «ad essere una società senza veri legami, spesso selvatica e analfabeta, ogni volta che convenga frantumata in un individualismo carognesco e prepotente».
 
Lamento
Al lamento di Galli della Loggia, aggiungiamo quello di Giuseppe Antonelli, ospitato dalla Lettura: «Oggi il confine tra il pensabile e il dicibile si è assottigliato, perché gli smartphone e i social network hanno ridotto la distanza tra sfera pubblica e sfera privata. Ormai quasi si sovrappongono. Quindi è diventato facile leggere nel pensiero altrui: basta andare su Twitter o Facebook, dove le persone mettono in piazza anche dei “selfie verbali”, autentiche radiografie dei loro umori. Così il privato, il personale, diventa politico. Ma in modo opposto rispetto al senso che la frase aveva negli anni Settanta. Adesso è il personale che domina anche la sfera del politico. Vince l’idiota, nel senso etimologico della parola greca idiotes: colui che pone al di sopra di tutto i suoi interessi particolari. Di conseguenza si è allentato il comune senso del pudore anche in campo linguistico: si sono indeboliti, quasi annullati, i filtri che selezionavano le espressioni adoperabili in pubblico, diverse da quelle in uso nel privato [...] Da questa caduta dei tabù deriva poi l’esaltazione della spontaneità, vera o presunta. La retorica delle frasi tipo: sono fatto così, sono sincero, ruspante, non fingo e ne sono orgoglioso. A volte certi personaggi pubblici simulano questo atteggiamento perché piace. Di qui anche la rozzezza, il turpiloquio e l’indifferenza per la grammatica. Alcuni studiosi ritengono che certi errori nei tweet di Donald Trump non siano sviste ma vengano inseriti a bella posta. Nel romanzo 1984 di George Orwell la neolingua della politica era imposta dal dittatore supremo, il Grande Fratello. Ma mi pare che la neolingua di oggi s’ispiri piuttosto alla trasmissione televisiva Il Grande Fratello, un posto dove si finge di essere sé stessi e si può dire qualunque cosa, tranne bestemmiare. Così il confine tra privato e pubblico diventa impercettibile e basta distrarsi un attimo per cadere nell’atteggiamento dominante