Informativa
Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy.
Se vuoi saperne di più negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie. I cookie ci aiutano a fornire i nostri servizi.
Utilizzando tali servizi, accetti l'utilizzo dei cookie. Cookie Policy   -   Chiudi
27/09/2018 00:00:00

Sequestro editore Ciancio, per la Dda i suoi affari contaminati da interessi mafiosi

"Il Tribunale, letti i documenti e ascoltate le argomentazioni del pm e della difesa, ha ritenuto che Mario Ciancio Sanfilippo sin dall'avvio della sua attività, nei primi anni Settanta, e fino al 2013 abbia agito, imprenditorialmente, nell'interesse proprio e nell'interesse di Cosa nostra e che in ragione di ciò il suo patrimonio si sia implementato illecitamente, giovandosi anche di finanziamenti occulti e che anche il predetto sodalizio mafioso si sia rafforzato grazie ai fortunati investimenti realizzati per il tramite del Ciancio".  

Il procuratore capo di Catania, Carmelo Zuccaro, pesa ogni parola durante la conferenza stampa di questa mattina, che ha approfondito le motivazioni che hanno portato al decreto di sequestro e confisca di beni pari a circa 150 milioni di euro nei confronti dell'editore e direttore del quotidiano La Sicilia, Mario Ciancio Sanfilippo, attualmente sotto processo per concorso esterno in associazione mafiosa.

"L'età avanzata e il tempo risalente degli ultimi accertamenti (2013) hanno indotto il Tribunale - ha aggiunto - a escludere l'attualità della pericolosità sociale, ma tale conclusione, per disposto di legge, non consente al soggetto ritenuto pericoloso di continuare a detenere il patrimonio acquisito in ragione delle illecite cointeressenze, sicché il Tribunale ne ha disposto la confisca". E tra i profili di pericolosità sociale evidenziati dal pubblico ministero attengono anche "all'impiego di grandi quantità di capitali di provenienza mafiosa investiti nelle iniziative economiche, anche di natura speculativa immobiliare, poste in essere nell'arco di numerosi decenni dal proposto".

Secondo gli inquirenti Ciancio avrebbe intrattenuto "rapporti sinallagmatici con gli esponenti di vertice della famiglia catanese di Cosa Nostra sin da quando la stessa era diretta da Giuseppe Calderone, rapporti poi proseguiti ed anzi ulteriormente intensificati con l'avvento al potere di Benedetto Santapaola alla fine degli anni Settanta del secolo scorso ed al ruolo di canale di comunicazione svolto dallo stesso Ciancio per consentire ai vertici della predetta famiglia mafiosa di venire a contatto con esponenti anche autorevoli delle Istituzioni".

In particolare sono cinque le vicende imprenditoriali nelle quali i giudici di Catania hanno individuato l'esistenza di rapporti tra Ciancio e ambienti di mafia. Il caso più rilevante, secondo gli inquirenti, è quello del centro commerciale Porte di Catania, un complesso che ospita 150 negozi. Nell'affare della costruzione del centro Ciancio era socio, sostengono i giudici, di Giovanni Vizzini e Tommaso Mercadante, vicini a personaggi coinvolti in vicende di mafia. La realizzazione dell'opera venne poi affidata all'imprenditore Vincenzo Basilotta anche se vi era l'intenzione di coinvolgere Mariano Incarbone. Sia Basilotta che Incarbone sono indicati come vicini a Cosa nostra. Basilotta è morto mentre veniva giudicato per associazione mafiosa, Incarbone sarebbe legato al clan Santapola.

Secondo quanto emerge da alcune intercettazioni "l'affare era infiltrato da Cosa nostra" e Basilotta aveva "lucrato 600mila euro". Quesi soldi sarebbero poi stati consegnati all'ex presidente della Regione Raffaele Lombardo come sorta di compenso per l'interessamento dell'ex Governatore di Sicilia al progetto al quale partecipava Mario Ciancio. Tra gli altri affari imprenditoriali contestati all'editore, c'è anche il parco commerciale Sicily outlet di Dittaino, in provincia di Enna. Oltre a essere proprietario dei terreni, Ciancio era socio della Dittaino Development che avrebbe affidato parte dei lavori a Basilotta e Incarbone. Nel provvedimento dei giudici si fa riferimento ancora a tre progetti non realizzati: Stella polare; un insediamento residenziale a supporto della base di Sigonella; la costruzione del polo commerciale Mito. In tutti e tre i casi Ciancio era proprietario dei terreni. A Stella polare era interessato Incarbone come general contractor. Le residenze di Sigonella dovevano essere costruite da Basilotta. Al polo Mito con Ciancio erano interessate "altre persone in rapporti con Cosa nostra palermitana e messinese".

Quella linea editoriale silente
Nel corso della Conferenza stampa la Dda catanese ha anche evidenziato come la linea editoriale imposta da Ciancio per "la zuccaro carmelo conf stampa sanfilippo 2testata giornalistica con più lettori in Sicilia Orientale improntata alla finalità di mantenere nell'ombra i rapporti tra la famiglia mafiosa e le imprese direttamente o per interposta persona controllate dalla medesima". Secondo gli investigatori, l'editore catanese con la linea editoriale tenuta non voleva "porre all'attenzione dell'opinione pubblica gli esponenti mafiosi non ancora pubblicamente coinvolti dalle indagini giudiziarie e soprattutto l'ampia rete di connivenze e collusioni sulle quali questo sodalizio mafioso poteva contare per mantenere la propria influenza nella provincia catanese".

Tra gli episodi messi in evidenza che sarebbero indice dei rapporti fra i boss e l’editore oggi sotto processo vi sono "la mancata pubblicazione del necrologio del commissario Montana nel 1985, le campagne di stampa di quando iniziò a collaborare il boss Avola o i titoli sull’arresto di Benedetto Santapaola, o la pubblicazione di lettere di capimafia, quali Vincenzo Santapaola o dei Cappello". Ma vi è anche l'episodio del novembre 1993, quando, secondo quanto raccontato dalla procura, il direttore Ciancio convocò nel suo ufficio il giornalista Concetto Mannisi, che si trovò davanti Giuseppe Ercolano, il quale protestava per un articolo su alcuni reati ambientali in cui veniva definito "massimo esponente della nota famiglia sospettata di mafia". E se Ciancio ha sempre sminuito il fatto quando è stato ascoltato dai pm, il giornalista ha raccontato di essere stato ripreso da Ciancio in presenza di Ercolano. Un episodio che infastidì Mannisi.

"Risultato importante" - "Non intendo assolutamente parlare del procedimento penale - ha proseguito Zuccaro - Il procedimento penale non ha affatto condizionato i giudici della sezione misure di prevenzione, ben consapevoli di quello che è l'oggetto del loro giudizio e di quali sono gli strumenti cognitivi e le regole di prova che in quel giudizio devono esser adottati. Non c'è alcuna interferenza tra i due giudizi".

Rispondendo ad un cronista che gli ha chiesto se non provasse imbarazzo per la giustizia catanese troppo lenta, il Procuratore capo di Catania ha risposto con determinazione: "Io ritengo che si poteva fare molto di più. Non posso dire per quale motivo perché ovviamente non ho vissuto tutti quei quarant'anni. Si poteva fare molto di più. Se imbarazzo lei ha notato, più che imbarazzo è dispiacere per quello che si poteva forse fare anche prima e che non è stato fatto". "Però oggi - ha sottolineato Zuccaro - dobbiamo essere soddisfatti per un fatto: è stato conseguito un risultato molto importante e questo è il risultato di un lavoro molto importante dei magistrati della Procura di Catania, delle forze di polizia e di un tribunale di Catania che è all'altezza del delicato compito che deve svolgere in questa città".

E poi ancora ha analizzato il dato di una giustizia lenta, rispetto a diversi episodi che sono avvenuti negli anni '70. "Una giustizia indubbiamente che non ha voluto e potuto essere all'altezza dei suoi doveri istituzionali, che sono molto delicati - ha detto Zuccaro - Ovviamente non trascuro e non ometto tutte le difficoltà che si incontrano quando si fanno indagini di questo tipo. Molte volte le indagini giudiziarie si possono avviare quando anche il clima e la sensibilità del Paese lo consentono. Non vi e dubbio però, e lo dico con grande consapevolezza, che la magistratura di Catania ha delle responsabilità a cui oggi deve assolvere senza alcuna esitazione e senza alcuna remora". "Se si vuole, una volta per tutte, debellare quelli che sono i fenomeni più perversi che affliggono il nostro Paese - ha concluso - non si possono assolutamente trascurare le reti di collusione, l'interfaccia che cosa nostra sa stabilire con tessuti ed esponenti importanti del tessuto economico e sociale. Questa indagine si scrive su questa linea, che è la linea che segue la Procura di Catania".