Il decreto su Genova è ancora bloccato, cioè non è ancora stato mandato alla firma del presidente Mattarella. Sembra che contenga buchi normativi e contabili che i funzionari dell’Economia per ora non sono riusciti a risolvere. In rete il ministro Toninelli, che vorrebbe un ponte «luogo di incontro in cui le persone possono vivere, possono giocare, possono mangiare» è subissato. È diventato virale il post del genovese Simone Pagano, che replica al ministro «serve solo un cazzo di ponte, perché lei vuole fare un ponte/centro commerciale/parco qui nel quartiere più inquinato di Genova... dentro al greto di un fiume che straripa..., avanti ministro, venga tra i cittadini a prendersi la democrazia diretta». Gino Paoli ha scritto: «Sì, deve essere bellissimo mangiare mentre passano i camion col rimorchio... Quando uno si mette in competizione col più grande architetto del mondo (Renzo Piano), vuol dire che è un cretino». Il Giornale e Libero riferiscono di una possibile azione di protesta sotto la casa di Grillo, il quale, secondo la Stampa, sarebbe allarmato al punto da aver telefonato a Di Maio e avergli chiesto: «Luigi, dimmi che sta succedendo».
«Nel frattempo il provvedimento si è trasformato in un “decreto urgenze” che mette insieme altre emergenze nazionali, in tutto 40 articoli dove solo otto riguardano il capoluogo ligure». Ieri Salvini ha detto: «Non so nemmeno in quale ministero si trovi il decreto» scrive Repubblica.
Nella confusa situazione politica del momento, Marcello Sorgi, sulla Stampa, invita a tenere d’occhio il sottosegretario alla presidenza del consiglio Giancarlo Giorgetti, l’unico in grado di contraddire Salvini ed essere ascoltato. I toni concitati di Di Maio, definiti «parabrigatisti», sarebbero provocati dalla base grillina, che non si rassegna alla logica dei numeri. Salvini potrebbe, in questo frangente, accompagnare «il capo del Movimento Cinque Stelle fino all’orlo del baratro, rischiando di farcelo cadere e fermandosi un momento prima. Non sarebbe certo la prima volta».
Tria non molla: «Ho giurato nell’interesse della nazione»
Intervenuto a un evento di Confcommercio a Milano, Giovanni Tria ha lanciato dei messaggi a Di Maio e Salvini in vista della manovra. «Ho giurato nell’esclusivo interesse della nazione e non di altri, e non ho giurato solo io», ha detto il ministro dell’Economia, spiegando che il governo «proseguirà sul sentiero di discesa del debito per conservare la fiducia degli investitori, ma anche dei risparmiatori, perché dobbiamo difendere i risparmi degli italiani dall'aumento dei tassi». In realtà proprio ieri M5s e Lega si sarebbero accordati per chiedere a Tria di allentare i vincoli di bilancio, portando il rapporto deficit/Pil al 2,4%. Intanto Di Maio continua ad attaccare i tecnici del ministero dell’Economia: «Nell’apparato dello Stato ci sono tanti tecnocrati, una zavorra del vecchio sistema di cui dobbiamo liberarci», ha affermato in un video su Facebook.
«Ciò che omettono di dire al popolo medesimo è che i soldi che vorrebbero prendere e spendere senza guardare i “numerini” sono proprio soldi dei cittadini. Non saranno infatti loro, i politici di oggi che vogliono fare più deficit, a doverli un giorno restituire; ma i governi del futuro che, come tutti i precedenti da vent’anni a questa parte, saranno ancora obbligati a stringere la cinghia, solo un po’ di più, prolungando la spirale senza fine che ha regalato a questo sfortunato Paese il terzo debito pubblico del mondo», scrive Il Corriere.
«In realtà i leghisti sono stati per vent’anni il junior partner silente e corrivo dell’esperimento cesarista berlusconiano, prima di svegliarsi un mattino sovranisti e lepenisti. E Di Maio, pur di andare al governo comunque, ha consegnato il cambiamento alla cifra di destra antimigranti di Salvini. In un Paese che non ha mai avuto un vero e proprio establishment (capace di coniugare gli interessi particolari legittimi e trasparenti con l’interesse generale) ma network tributari del potere pubblico, imprenditori concessionari o beneficiari, i cosiddetti poteri forti si sono già conformati, come accade ogni volta. Le uniche resistenze sono culturali, là dove permane un residuo di pensiero diverso dalla distruzione dell’antipolitica e dalla chiusura del sovranismo» fa notare Repubblica.