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11/10/2018 06:44:00

Mafia a Marsala, processo “Visir”: in Tribunale il racconto degli investigatori

 E’ stato il maggiore dei carabinieri Filippo Barreca, del nucleo investigativo di Monreale, a parlare, in Tribunale, nell’ambito del processo “Visir”, a parlare dei rapporti tra la famiglia mafiosa di San Giuseppe Jato e quella di Marsala.

Il processo è quello che vede alla sbarra quattro dei 14 presunti boss e gregari arrestati dai carabinieri il 10 maggio 2017. Gli altri dieci sono stati già condannati, con l’abbreviato, dal gup di Palermo Nicola Aiello, che ha inflitto oltre 114 anni di carcere.

E la pena più severa (16 anni) è stata inflitta al nuovo presunto “reggente” della famiglia lilybetana: Vito Vincenzo Rallo, 58 anni, pastore, già tre condanne definitive per mafia sulle spalle.

A scegliere il rito ordinario sono stati, invece, l’imprenditore edile Michele Giacalone, 48 anni, Alessandro D’Aguanno, di 27, e i mazaresi Andrea Antonino Alagna, di 38, e Fabrizio Vinci, di 48.

I primi tre sono difesi dall'avvocato Luigi Pipitone, mentre legali di Vinci sono Vincenzo Catanzaro e Teresa Certa. Il maggiore Barreca è l’ufficiale che ha coordinato l’indagine antimafia “Mandamento”. L’ufficiale dell’Arma ha riferito di due occasioni in cui, nel 2015, il capomafia di San Giuseppe Jato, Ignazio Bruno (in aprile condannato dal gup di Palermo a 14 anni di carcere), e Vincenzo Simonetti (in luglio condannato a 12 anni) sono venuti a Marsala per incontrarsi con qualcuno. Per l’accusa, con il boss marsalese Vito Vincenzo Rallo. I movimenti dei due erano monitorati dai carabinieri con un gps e “cimici” sulla Fiat Punto di Simonetti. Su domanda dell’avvocato Luigi Pipitone, il maggiore Barreca ha dichiarato, però, che non è stato accertato il motivo esatto per il quale i due presunti mafiosi palermitani sono venuti a Marsala. Si sono limitati a censire le trasferte. Dalle intercettazioni ambientali, infatti, ha spiegato l’ufficiale dei carabinieri, non è emerso nulla di particolare. In auto, insomma, Bruno e Simonetti, forse per prudenza, hanno tenuto la bocca chiusa. O comunque non hanno detto nulla di rilevante sul piano investigativo. Ascoltato, infine, anche un militare del Ris di Messina che ha eseguito la perizia balistica sulle armi trovate nella disponibilità di D’Aguanno.