Rigettata la sospensione del dissequestro per i Niceta. Può proseguire la restituzione dei beni degli imprenditori. La Corte d'appello per le Misure di prevenzione ha respinto la richiesta della Procura e da ragione agli avvocati dei Niceta.
Il decreto della Corte d'appello anticipa per certi versi anche il giudizio di merito sull'intera vicenda. I giudici hanno valutato gli elementi che, secondo l'accusa, connoterebbero la pericolosità sociale qualificata dei Niceta. L'unico elemento da cui si potrebbe desumere l'apporto dei Niceta agli interessi della mafia è l'apertura dei punti vendita nel centro commerciale Belicittà di Castelvetrano.
E' stata esclua la richiesta di aiuto rivolta dai Niceta ai Guttadauro per fronteggiare una richiesta di pizzo e la presenza di Francesco Guttadauro al matrimonio di Massimo Niceta. I due episodi sono considerati come elementi da cui emerge una “contiguità ideologica” con gli esponenti mafiosi, ma non la pericolosità sociale. La vicenda Belicittà, invece, “allo stato degli atti” non fornisce elementi che “inducano a qualificare le condotte dei Niceta nei termini di un apporto individuabile alla vita della compagine mafiosa”.
Anche se Massimo Niceta aveva assunto presso uno dei due negozi Francesco Guttadauro con un contratto che prevedeva il pagamento di uno stipendio e di una provvigione sugli incassi”, Guttadauro era un dipendente in “posizione subordinata” ai Niceta. Tanto subordinata, ricordano i giudici, da non avere neppure il margine di discrezionalità per applicare uno sconto.
I giudici sul rapporto dei Niceta-Belicittà: “Pur dimostrando, ancora una volta, la posizione di collateralità di Mario Niceta e dei suoi figli rispetto a noti esponenti di Cosa nostra, manifesta sostanzialmente l'intento dei Niceta di espandere le proprie imprese commerciali e al tempo stesso l'interesse di Filippo Gurttadauro e dei suoi figli a mediare per consentire l'apertura dei punti vendita onde ottenere vantaggi economici di tipo personale”. Per i giudici insomma non c'è stato alcun arricchimento per la mafia, ma “un vantaggio personale dei Guttadauro senza potersi evincere il soddisfacimento di ulteriori interessi della cosca mafiosa alla quale i Guttadauro appartengono”.
La Corte d'appello dunque è d'accordo con il Tribunale che ha dissequestrato i beni. Le prove raccolte “non consentono di ritenere che il finanziamento da parte di Mario Niceta dell'inizio delle attività dei tre figli (Massimo, Piero e Olimpia, ndr) sia avvenuto con risorse derivanti da attività illecite”.
Le concluioni dei giudici: “Allo stato il quadro indiziario a carico dei Niceta permane insufficiente a sostenere tanto i chiesti provvedimenti di misura di prevenzione personale, quanto quelli di confisca”.