C'erano dissidi all'interno della famiglia mafiosa di Marsala. E Matteo Messina Denaro avrebbe prima minacciato di risolverli con la forza, poi però ci ha ripensato e sarebbe intervenuto pacificamente a tranquillizzare tutti.
E' quello che emerge dalla sentenza del processo tenuto con rito abbreviato scaturito dall'operazione antimafia Visir, che ha fatto luce sull'ultimo assetto della famiglia mafiosa di Marsala.
La cosca marsalese non stava bene, era abbastanza litigiosa, c'erano appalti, pochi in verità, da spartire, e due gruppi se li contendevano. C'erano invidie per i ruoli di leadership, e dissapori nella decina di Strasatti-Petrosino.
Quando tornò libero Vito Vincenzo Rallo riprese lui la reggenza della famiglia mafiosa di Marsala, con la benedizione di Vito Gondola, capo del mandamento di Mazara del Vallo, a cui appartiene Marsala, e soprattutto del super latitante Matteo Messina Denaro.
Rallo, boss di fiducia dei vertici, prende il posto di Antonino Bonafede, anziano capomafia marsalese che reggeva la famiglia in un periodo in cui non c’erano più neanche “i rimpiazzi dei rimpiazzi”. Tornato a piede libero Rallo mette i suoi uomini in ruoli di direzione. Uno di questi è Nicolò Sfraga, a cui spetta di sovrintendere la decina di Strasatti-Petrosino, che negli ultimi anni, quelli su cui ha indagato la Dia, è stata la più attiva, il gruppo trainante della famiglia mafiosa di Marsala. L’imposizione non va bene ad alcuni esponenti.
La decina di Strasatti-Petrosino da quando Vito Vincenzo Rallo era tornato a comandare non era in pace. Una decina divisa in due, con due fazioni. Una riferibile a Nicolò Sfraga, luogotenente imposto dal capo famiglia Rallo. L'altra riferibile a Vincenzo D'Aguanno e Michele Lombardo, colui che si occupava delle estorsioni.
Un contrasto che si percepisce da alcune intercettazioni. Una guerra di mafia, si legge nella sentenza, che sarebbe stata evitata dall'intervento di Matteo Messina Denaro. Le intercettazioni rivelano l’esistenza di armi pronte all’uso.
I mafiosi si incontrano, parlano di guerra di mafia per sistemare le cose, parlano di boss, di latitanti che hanno salvaguardato e che devono salvaguardare. Come lui, come il numero uno dei ricercati in Italia, Matteo Messina Denaro, invisibile dal 1993, l'ultimo capo di cosa nostra.
In un'intercettazione ambientale viene captato Nicolò Sfraga, uno dei mafiosi condannati, mentre spiegava che i dissidi interni alla famiglia mafiosa di Marsala avrebbero provocato la reazione del super latitante, presente “in zona”. Matteo Messina Denaro avrebbe avvertito Sfraga di essere pronto a “risolutive azioni violente” per ripristinare l'ordine nel territorio marsalese. Il tutto sarebbe stato accantonato per gli arresti dei familiari di Messina Denaro, la sorella Patrizia e i nipoti Francesco Guttadauro e Girolamo Bellomo. Niente guerra, anche per i consigli ricevuti dai decani di cosa nostra trapanese.
Sfraga raccontò a Vincenzo D'Aguanno di aver partecipato a una riunione mafiosa di mandamento in cui si era deciso di congelare il conflitto interno alla famiglia mafiosa di Marsala.
Poi lo stesso Vincenzo D'Aguanno gira le informazioni a Michele Lombardo, gli riferisce che Sfraga avrebbe ricevuto l'ordine da Matteo Messina Denaro di raffreddare gli animi. “Ora io presumo che gli è salito questo, il grosso, da Vincenzo, e gli ha detto questa cosa a quest'ora la dobbiamo congelare! Perchè le cose sono calde!... a quest'ora dice c'è il latitante che ha i cugghiuna unciati che sarebbe Messina Denaro! Dice che si trova nelle zone nostre!”.
Il boss ne aveva le scatole piene di questi marsalesi che litigano su tutto, che litigano su quei piccoli affari che riescono a mettere in campo. La sua indicazione era chiara: o facevano la pace, avrebbe fatto scatenare lui la guerra.
Le armi sono state riposte, non si è sparato un colpo.