Davvero è tutto fermo per colpa dei commissari? Il degrado, il “blocco” delle concessioni edilizie, il problema dei rifiuti, delle mense scolastiche e tutto il resto, dipendono unicamente dai vincoli stringenti della commissione straordinaria? Veramente, ogni cosa viene stoppata da obbligatorie richieste di “informazione antimafia” che mettono in croce qualsiasi iniziativa?
Non tutti sanno però che la maggior parte della vita amministrativa di una città è gestita dagli uffici tecnici e dalla burocrazia comunale e che nel caso di un commissariamento, può accadere che il feeling tra la macchina amministrativa e la rappresentanza istituzionale non sia proprio ottimale.
C’è una parte dell’apparato tecnico burocratico del comune che di fatto mette il bastone tra le ruote alla commissione, in modo da creare disagio? Gli effetti del nuovo malessere, finiscono poi per essere cavalcati da coloro che, alle prossime elezioni amministrative, “salveranno la città dai commisari”?
Ne abbiamo parlato col vice prefetto Salvatore Caccamo, alla guida del comune di Castelvetrano dopo lo scioglimento per mafia del 2017.
E’ vero che una parte dell’apparato tecnico burocratico del comune rema contro la commissione?
Le rispondo con un esempio, uno per tutti, che credo sia davvero sintomatico: la fiera della Tagliata.
L’ufficio preposto aveva presentato per tutti gli operatori economici (moltissimi sono venditori ambulanti, che fanno capo ad un singolo soggetto) la richiesta dell’informazione antimafia. Il che significa che per colui che avrebbe esposto i propri prodotti per due giorni, le forze di polizia avrebbero dovuto fare l’accertamento anche sul conto dei componenti della sua famiglia (coniuge, figli, ecc…). Gli uffici avrebbero dovuto sapere che non si può chiedere un’informazione così dettagliata sul singolo soggetto. L’informazione antimafia va richiesta per un’impresa, dove ci sono dei soci. Per il singolo, va chiesta invece una semplice comunicazione, cioè un accertamento che la Prefettura fa sulla base di dati già acquisiti al sistema informativo e che comporta il rilascio immediato.
In sostanza il comune di Castelvetrano, in quell’occasione, ha intasato gli uffici di diverse prefetture, dal momento che c’erano residenti anche in provincia di Agrigento, Palermo, Catania… quasi tutte. E’ stato necessario bloccare le richieste di informativa e fare le nuove richieste di comunicazione. Mi sono chiesto il perché di questo comportamento. L’obiettivo qual era? Non far fare la fiera della Tagliata?
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L’idea che il commissario possa tutto, all’interno del comune che amministra, è diffusa quasi come quella che accomuna il potere politico a quello tecnico amministrativo. A dire il vero, sarebbero dei poteri distinti anche in presenza di un sindaco eletto. Ma in quel caso il feeling con l’apparato burocratico viene tradizionalmente mantenuto, sullo sfondo di clientele elettorali più o meno accennate.
Recentemente però, a più livelli, sono emerse posizioni molto contrapposte tra i due ambiti. A Petrosino, per esempio, il sindaco Gaspare Giacalone ha scoperto una situazione che lui stesso ha definito scandalosa: i contributi del suo comune erano stati sistematicamente pagati in ritardo, nonostante ci sia sempre stata sufficiente disponibilità di cassa, causando all’ente danni di diverse decine di migliaia di euro per sanzioni ed interessi di mora. E, ancor peggio, ha scoperto che negli anni precedenti alla sua amministrazione, gli oneri contributivi non erano stati pagati del tutto.
A livello regionale, invece, il presidente della Regione Siciliana Nello Musumeci ha affermato senza mezzi termini che ci sono dei “funzionari regionali che si comportano da veri criminali” e che li manderebbe in galera. “Un funzionario può lasciare la pratica sulla scrivania e invece di portarla al collega sullo stesso piano – afferma Musumeci - la lascia sulla scrivania per due mesi”. Però tutto viene fatto rigorosamente “nell’alveo della legalità”, senza infrangere nessun obbligo di legge. Ecco perché ha aggiunto che “se ti metti di traverso, ti arriva subito il sindacato che minaccia lo stato di agitazione. Ma siccome io sono più agitato di loro, me ne frego. Tutti devono sapere la condizione in cui ci muoviamo in Sicilia”.
Sul concetto di scioglimento per infiltrazione mafiosa, invece, molti concordano su come sia in realtà inefficace rispetto all’obiettivo di incidere davvero sull’ambiente mafioso che condiziona l’attività amministrativa del comune. E a dar loro ragione ci sono i numeri: dei 204 comuni sciolti dal 1991, 42 sono stati sciolti una seconda volta e 13 addirittura tre volte.
Ecco che allora non basta mandare a casa sindaco, assessori e consiglieri, se poi una buona parte dell’apparato burocratico risulta colluso. Ma se le collusioni e le infiltrazioni, spesso sono funzionali ad una parte della cittadinanza, allora ci vorrebbero scelte coraggiose, rinunciando al consenso quando questo viene ottenuto in modo poco chiaro.
Inoltre, le vie del rafforzamento della comunità sono abbastanza tortuose, ed il fatto che la maggior parte della cittadinanza veda lo scioglimento come una punizione e non come una risorsa, certamente non aiuta.
Una percezione, questa, che nel caso di Castelvetrano è purtroppo alimentata dalla maggior parte della classe politica.
Alla fine, nell’immaginario della gente, alcuni cercano di veicolare l’idea complottista dello scioglimento punitivo, legato alla semplice colpa di essere la città del latitante Matteo Messina Denaro. Oppure, addirittura, la convinzione che il commissariamento possa essere stato un’arma scorretta per sconfiggere la classe politica dominante, aggirando la competizione elettorale. E così viene costruito il nemico cui addossare la colpa di mesi di degrado cittadino che, con la memoria corta, chiaramente non si erano mai visti prima.
Insomma, chi la pensa diversamente passa per nemico del territorio (e amico di chi avrebbe giocato sporco). E chi si occupa di informazione e non ha col commissario lo stesso taglio critico che aveva col sindaco, diventa un lecchino del potere che insegue chissà quali interessi personali. In tanti fanno fatica a comprendere la differenza tra un amministratore politico ed uno tecnico istituzionale che non è stato eletto dal popolo, ma imposto dal ministero a causa di accertate infiltrazioni mafiose.
E allora, ad una buona parte della città sono stati indicati i nemici cui rivolgere la propria insofferenza: l’ex ministro Minniti, il Pd, l’ex prefetto, il commissario Caccamo e i loro “lecchini” giornalisti, che infangano il territorio. Qualcosa che ricorda vagamente la manifestazione dei “Due minuti dell’odio” che, in “1984” di Orwell, veniva indetta dal partito contro Emmanuel Goldstein, nemico giurato del governo, su cui si scaricava la rabbia repressa della popolazione.
Con la differenza che qui i minuti sono molti di più.
Egidio Morici