di Emanuele Giordana
Il razzismo ha molte forme con le quali si manifesta. La più nota è “Non sono un razzista ma….” dove in quel ma c’è tutta una gamma di sfumature attraverso le quali anche noi siamo stati all’indice quando emigravamo oltralpe a fare i manovali, i minatori, i camerieri. Ma che il razzismo si possa esprimere anche via telefono attraverso un disco fisso con una voce metallica e anodina non avrei proprio pensato: una volta c'era "il telefono la tua voce", vecchio spot della Stipel poi Sip quando si parlava con la cornetta. Il telefono era un amico. E lo è anche oggi ma…
Oggi, con smartphone e altre diavolerie, il telefono non è più la tua voce ma la "loro" voce o meglio quella dei call center che smistano richieste, contratti, rimostranze. A parte la difficoltà di fare un reclamo (ma su questo ci soffermeremo un'altra volta) accade che per lo più risponda per prima una voce registrata che ti dice che potresti ottenere una "...risposta dall'Albania" ma che se desideri parlare con qualcuno dell'Unione europea non hai che da dirlo. Op là, e la telefonata passa da Tirana alla Vecchia Europa.
La trovo una forma nemmeno tanto occulta di razzismo nonché una patente violazione del principio della globalizzazione, quello cui si ispirano le reti di telefonia che hanno call center risponditori anche in India. Si potrebbe controbattere che se devo segnalare un guasto in Italia è meglio un italiano ma se uno sapesse, come mi ha appena spiegato un tecnico, che gli operatori dei call center (cui va tutta la mia solidarietà) possono al massimo segnalare, che senso ha si tratti di un italiano? Non solo, ma se mi risponde un olandese? Cosa ne sa della rete che passa da Crema, la città del Profondo Nord dove risiedo? Consiglierei alle aziende di telefonia nazionale di abolire questo pessimo annuncio. Se hanno assunto qualcuno in Albania se ne devono poi vergognare? Mi pare una delle peggiori declinazioni di "prima gli italiani".
Aggiungo qualcos'altro. In quella che era la settima potenza industriale Internet funziona con la manovella. E nel Paese delle tre i caro a Berlusconi, la rete è piena di buchi, smagliature, interruzioni. Mi hanno appena attaccato alla fibra e il mio web va peggio di prima. Tempo per il passaggio tecnico? Quattro giorni e un numero infinito di segnalazioni con risposta via sms, di quelle a cui non puoi rispondere. "E' tutto quel che puoi avere", mi ha detto sempre lo stesso tecnico alludendo alla cascina dove abito alla periferia di Crema, una cittadina da 40mila abitanti dove internet funziona a pedali. Come rimpiango il Vietnam! Una volta siamo andati a bere un caffè in una locanda sul fiume dove non c'era l'acqua corrente e il locale erano due tavoli e tre panche. Ma in un angolo c'era un cartello con la password del wifi. Funzionava come a Crema neanche se lo sognano. E senza un disco che mi chiedesse se preferivo una risposta da Tirana oppure da Saigon.