Paolo Savona, il ministro più temuto dal Quirinale e dai consessi europei per il suo euroscetticismo manifesto e la cui strada per il dicastero economico fu sbarrata preventivamente, non solo scarica la manovra del governo gialloverde bocciata dall’Ue, ma scende plasticamente dal carro. Affermando ai colleghi che “a questo punto bisogna cambiare anche il governo, non solo la manovra”.
E la circostanza fa naturalmente scalpore, poiché quello che era considerato l’estensore del piano B sull’uscita dall’euro, il teorico del ‘cigno nero’, l’arma letale per una Brexit in versione tricolore, sembra essersi convinto che i rischi di uno scontro con l’Europa sono superiori alle opportunità. tanto da essere il primo ministro del governo Conte ad aver messo sul tavolo nientemeno che l’ipotesi delle dimissioni.
“Credimi, Matteo. Un conto è che certe cose le leggi sui giornali. Altre cose è sentirle dal diretto interessato. Per Savona, insomma, siamo al capolinea”, spiegava l’altro giorno uno dei ministri leghisti a Salvini in uno scambio intercettato e riportato sempre dal Corsera. E Salvini, gelido: “Lo so, ci ho parlato”. Chi conosce bene Savona giura che abbia previsto per gennaio, quando ci saranno le aste Btp più importanti, il “momento più delicato” per l’Italia. Ecco, in “quel momento più delicato” lui probabilmente non ci sarà.
Intanto nel governo si cerca di capire quali siano i margini di manovra con Bruxelles. Una parte dell’esecutivo è per non toccare la legge di Bilancio e tenere duro, un’altra ampia componente vorrebbe trovare soluzioni condivise, come quella di alleggerire la mano sulle spese correnti, ossia un riequilibrio di risorse tra spese correnti e spese per gli investimenti. Resta da vedere se i 5 Stelle saranno disposti a sacrificare una parte delle spese correnti previste per il reddito di cittadinanza.
Qui l'articolo di oggi del Corriere della Sera:
«A questo punto non bisogna cambiare soltanto la manovra…». Ormai s’è trasformato in una specie di star della Rete, ogni spiffero che arriva da lui genera clic su clic, su Twitter dilaga anche se lui non twitta, su Facebook anche se lui non «posta», forse persino su Instagram anche se non si mette in mostra. Lo propongono indifferentemente per la segreteria del Pd o la guida di un governo tecnico, ne esaltano le retromarce, «Savona-Rola», «Indietro Savona» e via dicendo. Dietro il Savona 2.0, però, c’è l’originale, Paolo Savona, l’uomo che ha spiegato ai colleghi che «a questo punto bisogna cambiare anche il governo, non solo la manovra».
È l’impossibile che diventa possibile, il clamoroso al Cibali, l’imponderabile che confonde la mente. L’uomo che spaventava Bruxelles, l’estensore del piano B dell’uscita dall’euro, il teorico del «cigno nero», la personificazione di tutti gli incubi veri o presunti di un’Italia da indirizzare verso una versione tricolore della Brexit si trasforma nel principe dei «responsabili». In colui che s’è convinto che i rischi di uno scontro con l’Europa sono superiori alle opportunità. Talmente convinto dall’essere di fatto il primo ministro del governo Conte ad aver messo sul tavolo nientemeno che l’ipotesi delle dimissioni.
Perché Savona pensa questo, ormai. Che il governo vada cambiato. «Credimi, Matteo. Un conto è che certe cose le leggi sui giornali. Altre cose è sentirle dal diretto interessato. Per Savona, insomma, siamo al capolinea», spiegava l’altro giorno uno dei ministri leghisti a Salvini in persona. E Salvini, gelido: «Lo so, ci ho parlato».
Persino le tante malelingue di Palazzo, che nelle settimane passate avevano iniziato a far passare i mugugni di Savona per un tentativo di accreditarsi a sostituire Giovanni Tria al ministero dell’Economia, sono spiazzate. Certo, il rapporto tra il titolare delle Politiche comunitarie e l’uomo che lui stesso aveva indicato per via XX settembre s’è incrinato. E, per usare l’efficace sintesi che un ministro attribuisce a Conte in persona, «Tria s’è tramutato in Savona e Savona in Tria». L’eterodosso professore vicino al centrodestra e amico di Renato Brunetta s’è trasformato nel custode dell’ortodossia gialloverde, pronto a trattare fino all’ultimo pur di non toccare la manovra. E il custode dell’ortodossia gialloverde — l’uomo del «non esiste l’Europa ma solo una Germania circondata da pavidi», il granitico assertore che «quelli che oggi si dicono europeisti sono solo anti-italiani» — diventa una specie di cavallo di Troia europeista spuntato come un fungo all’interno di Palazzo Chigi.
E dire che dopo l’estate, quando Tria aveva frenato sul reddito di cittadinanza, al primo consiglio dei ministri Savona l’aveva punzecchiato. «Professor Tria, che cosa dicono i suoi amici in Europa?». Ora è tutto diverso. A centosettantacinque giorni dalla nascita del governo, che stava per non nascere proprio per il braccio di ferro tra Salvini e il Colle sul suo nome, Savona sembra sventola bandiera bianca per tutti.
Su un punto amici e detrattori sono d’accordo. Savona sta giocando una partita «alla Cossiga», si mormora a Palazzo evocando genio e sregolatezza degli ultimi vent’anni di vita dell’ex presidente della Repubblica, che il ministro ha sempre considerato, l’altro era Guido Carli, uno dei suoi due maestri. E di Cossiga, ieri l’altro, Savona ha citato una frase: «L’economia è un grande imbroglio politico». Chi lo conosce bene giura che abbia previsto per gennaio, quando ci saranno le aste Btp più importanti, il «momento più delicato» per l’Italia. Ecco, in «quel momento più delicato» lui non ci sarà. O riesce a scongiurarlo prima, non si sa come. Oppure lo guarderà da lontano.