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14/12/2018 13:29:00

In Italia 5 milioni di persone in povertà assoluta. E il reddito di cittadinanza...

Le famiglie italiane che si trovano in una condizione di povertà assoluta sono un milione e ottocentomila, per un totale di cinque milioni di individui.
Per l’Istat: «La soglia di povertà assoluta rappresenta il valore monetario, a prezzi correnti, del paniere di beni e servizi considerati essenziali per ciascuna famiglia, definita in base all’età dei componenti, alla ripartizione geografica e alla tipologia del comune di residenza. Una famiglia è assolutamente povera se sostiene una spesa mensile per consumi pari o inferiore a tale valore monetario». Per marito e moglie di età compresa nel range 18-59 con due figli di età 4-10 il valore limite della povertà assoluta (anno 2017) è di 1.652,89 euro al mese. 


Microzone
I futuri percettori del reddito di cittadinanza lo perderanno se rifiuteranno un’offerta di lavoro “congrua”. L’ultima definizione di “offerta di lavoro congrua” risale a un decreto Gentiloni del 10 aprile scorso, emanato sulla base dei princìpi stabiliti nel Jobs Act: «L’offerta è congrua se è coerente con le esperienze e le competenze maturate, secondo una gradualità: i disoccupati da più di un anno devono accettare anche lavori in settori poco familiari. L’offerta è poi congrua se non inferiore a tre mesi di durata, a tempo pieno o mai sotto l’80% delle ore nell’ultimo contratto, retribuita almeno secondo i minimi salariali dei contratti collettivi. E distante al massimo tra 50 e 80 chilometri da casa. O in alternativa tra 80 e 100 minuti con i mezzi pubblici (56-70 minuti di macchina)». Di Maio vuole modificare questo testo sostituendo al concetto di “chilometri da casa” quello dei “sistemi locali del lavoro”, le 611 zone in cui l’Istat ha suddiviso il paese in base ai dati del censimento 2011 relativi all’occupazione. È una complicazione, in realtà, perché, a parte le microzone prossime alle grandi città, nelle altre l’offerta di lavoro è scarsissima.
 
Poveri
L’80% dei poveri assoluti non è in grado di lavorare: mamme single, alcolisti, tossicodipendenti, malati, bassa scolarizzazione. Qui, più che offerte congrue, occorrono assistenti sociali.
 
Reddito
Dopo l’abbassamento del deficit al 2,04% che fine farà il reddito di cittadinanza? Prima di quest’ultimo cedimento a Bruxelles, la quota destinata ai poveri assoluti era di 9 miliardi, di cui uno da impiegarsi per rafforzare i centri per l’impego, 900 milioni da distribuire alle “pensioni di cittadinanza” e 7,1 miliardi impegnati per il reddito vero e proprio. «Se prendiamo gli 8 miliardi destinati complessivamente a reddito e pensioni di cittadinanza e li dividiamo per i 5 milioni di persone in condizioni di povertà assoluta secondo l’Istat, otteniamo una media di 1.600 euro all’anno, cioè 133 euro al mese per 12 mesi. Anche riducendo l’erogazione a 9 mesi, perché ora si ipotizza che i primi assegni verranno pagati ad aprile, si sale solo a 177 euro al mese. Prendendo più correttamente a riferimento le famiglie in povertà assoluta (1,8 milioni), perché il requisito per ottenere il sussidio sarà l’Isee, cioè l’indicatore della ricchezza familiare, si ottiene che ad ogni famiglia dovrebbero andare in media 4.444 euro all’anno, cioè 370 euro al mese su 12 mesi o 493 euro su 9 mesi» scrive il Corriere della Sera. 
 
Ricchi
Però se si considerano i patrimoni (attività liquide e finanziarie, beni mobili e attività immobiliari, case e terreni) la ricchezza degli italiani risulta pari a 10.700 miliardi di euro, in crescita dal 2016 dopo un calo del 5%. Si tratta di 9,3 volte il reddito disponibile, «nessun Paese del G7 può vantare un rapporto tanto elevato: il dato si ferma a 8 in Francia, a 6,7 in Germania, a 6,4 negli Stati Uniti».

Scrive il Foglio: «Che gli italiani siano più ricchi non solo di quel che appare dalle statistiche ufficiali, ma anche degli americani, dei tedeschi, degli stessi scandinavi, era stato confermato da un sofisticato studio condotto da due economisti della Banca d’Italia, Andrea Brandolini e Silvia Magri, insieme a un loro collega americano, Timothy Smeeding dell’Università del Wisconsin, pubblicato nel 2010. Le cifre di riferimento, per rendere comparabili i diversi paesi, sono fondate sul data base più accurato che si conosca, quello del Luxemburg Wealth Study che risale al 2002, quindi l’analisi prescinde dagli effetti della lunga recessione. La crisi ha solo modificato le proporzioni, non ha cambiato la sostanza. Il parametro che conta per riclassificare la ricchezza e la povertà è il rapporto tra il reddito disponibile delle famiglie (cioè quel che resta dopo aver pagato imposte, balzelli, contributi, insomma tutto ciò che lo stato preleva dalle nostre tasche) e il valore delle loro proprietà (in beni mobili e immobili) più i risparmi. Chi non è schiacciato nella tenaglia delle banche e ha un tetto sulla testa, soffre molto meno anche quando perde il reddito e resta disoccupato. Un anziano negli Usa è più affluente in termini di reddito e di ricchezza mobiliare (in azioni, fondi pensione, ecc.). Ma la situazione si rovescia se guardiamo all’insieme dei patrimoni. In parità di potere d’acquisto, cioè senza l’effetto della svalutazione monetaria, l’italiano medio sta nettamente meglio anche dell’americano medio. Del resto, basta girare per le piazze di un borgo toscano e sulle strade di una cittadina nel Midwest per toccare con mano la profonda differenza».