“Mio marito divenne ancora più violento quando arrivò la lettera che avevo fatto scrivere all’avvocato per avviare la pratica di separazione. Poi, il 7 gennaio 2017, l’aggressione in seguito alla quale fui trasportata al Pronto soccorso”. Sei giorni dopo la querela presentata ai carabinieri che sancì la definitiva rottura di un matrimonio costellato da continue violenze da parte dell’uomo.
E’ stata una testimonianza drammatica quella resa, davanti al giudice Lorenzo Chiaramonte, da una giovane donna marsalese (M.L.P., di 32 anni) nel processo che vede imputati, per maltrattamenti in famiglia, il marito, I.L., gestore di un bar a Strasatti, e la cognata (R.L., sorella di lui).
Maltrattamenti (anche i due figli piccoli sarebbero stati picchiati) che sarebbero andati avanti per diversi anni. “Nel 2004 – ha detto la donna rispondendo alle domande dell’avvocato difensore Duilio Piccione – ho anche chiamato i carabinieri. Poi, fino al gennaio 2017, non lo feci più perché avevo paura e anche perché all’epoca mi fu detto che avendo 17 anni potevano togliermi i bambini”.
La donna era già stata ascoltata lo scorso ottobre, quando, in lacrime, rispondendo alle domande del pm Niccolò Volpe, raccontò quanto avrebbe subito. E come ha ribadito ieri, aveva detto anche che, a un certo punto, il marito prese il porto d’armi. E questo, naturalmente, aumentò la sua paura.
“Lui mi picchiava molto – ha affermato M.L.P. - Una volta mi ha anche rotto il setto nasale”. La denuncia scattò nel gennaio 2017, quando finì al Pronto soccorso. E dopo la separazione, non avrebbe più visto i suoi due figli, sottratti dal marito, per due mesi. Nell’ultima udienza, la donna ha inoltre raccontato che un giorno, mentre lei era in auto con la madre, in contrada Fontanelle, il marito tentò di investirla con la sua auto. Poi, scese e con qualcosa che lei ha detto di non essere riuscita a vedere bene perché per la paura chiuse gli occhi ha cominciato a danneggiare la sua auto. “Lui – ha dichiarato M.P.L. - mi diceva ‘Questa volta ti ammazzo’. Poi, io riaccesi il motore e feci un po’ di strada, fermandomi davanti a un’officina meccanica. Qui, uscirono alcune persone e lui fuggì, ma io, per paura, non volli scendere dall’auto fin quando non arrivò la polizia”.
Nel processo, la donna si è costituita parte civile e ad assisterla è l’avvocato Matilde Mattozzi.