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15/03/2019 09:04:00

Campobello di Mazara, mazzette per l'albergo. Condanna definitiva per Di Natale

 La Cassazione ha reso definitiva la sentenza con cui, il 24 aprile 2018, la prima sezione penale della Corte d’appello di Palermo confermò la condanna, inflitta il 9 febbraio 2015 dal Tribunale di Marsala, all’ex consigliere comunale di Campobello di Mazara, Antonino Di Natale per “induzione indebita a dare o promettere utilità”.

A Di Natale, che è stato anche sfiorato in indagini sulla famiglia mafiosa campobellese, furono inflitti tre anni e mezzo di carcere. Per lo stesso reato, sia in primo grado che in appello, è stato condannato (due anni, con pena sospesa) anche un altro ex consigliere comunale campobellese, Giuseppe Napoli.

In questo caso, la sentenza era già definitiva perché l’imputato non ha fatto ricorso in Cassazione. Secondo l’accusa, Di Natale e Napoli avrebbero preteso dall’imprenditore mazarese Vito Quinci una “mazzetta” da 21 mila euro per far approvare, in Consiglio comunale, la delibera relativa alla concessione edilizia chiesta dalla società “Il Faro srl” per la realizzazione di un albergo con 220 camere da costruire, su un’area di circa 80 mila metri quadrati, nella frazione balneare di Tre Fontane.

L’opera è rimasta incompiuta per le difficoltà incontrate da Quinci. Di Natale e Napoli furono arrestati nel maggio 2010 dalla Guardia di finanza. Oltre ai due consiglieri comunali, Vito Quinci denunciò anche il defunto ex sindaco di Campobello di Mazara Ciro Caravà, affermando che questi, nel 2005, quando era consigliere comunale, gli chiese una o più mazzette, per circa 30 mila euro, per votare, e far votare anche ad altri colleghi, favorevolmente la delibera relativa al progetto.

Processato con Di Natale e Napoli, nel 2015 Caravà fu condannato dal Tribunale di Marsala a 4 anni e mezzo di carcere per concussione. Poi, la Corte d’appello di Palermo ha dichiarato il “non doversi procedere” per morte dell’imputato. L’ex sindaco di Campobello di Mazara è deceduto il 29 settembre 2017, soffocato da un pezzo di pane che stava inghiottendo. Vito Quinci, per il quale la Corte d’appello di Palermo revocò il fallimento di due sue società (Opus e Mokarta costruzioni), raccontò la sua tormentata storia in una lettera inviata nel 2010 al prefetto di Trapani. “Tutto – scrisse - parte nel 2000 con la presentazione di due progetti, uno con la società il Faro e l’altro con la Tre Fontane Family”. Nel processo, poi, ha detto che il collaboratore di giustizia palermitano Vincenzo Gennaro ha dichiarato che c’era un disegno per farlo fallire e poi far acquisire il suo complesso al clan di Matteo Messina Denaro. Adesso, l’imprenditore, costituitosi parte civile con l’assistenza dell’avvocato Carmelo Miceli (deputato Pd), dice: “La cosa assurda che a seguito delle mie denunce e agli arresti, le mie proprietà sono per essere vendute all’asta. Il progetto della costruenda struttura alberghiera di proprietà della società Il Farò s.r.l. rimasta al palo con uno stato di costruzione del 30%. Questo progetto è stato ostacolato dall’ex sindaco Caravà e compagni perché al confine della nostra struttura doveva sorgere il villaggio Valtur. La mia vicissitudine e la mia storia non appartiene solo a me. Ma a tutti quelli che credono nella legalità, non si può continuare così. Sono trascorsi ben 19 anni dalla prima denuncia”.