Una lunga sequela di aggressioni e offese dopo appena due mesi di convivenza. E’ quanto si contesta a un 28enne mazarese, Michele Giacalone, per il quale la Procura di Marsala ha chiesto il rinvio a giudizio per atti persecutori (“stalking”) e maltrattamenti in famiglia.
Vittima del Giacalone, durante e dopo il periodo di convivenza, iniziata nell’agosto 2017, sarebbe stata R.P., di 22 anni. L’uomo, difeso dall’avvocato Walter Marino, secondo l’accusa avrebbe posto “in essere ripetuti e quotidiani comportamenti vessatori” ai danni della giovane compagna, assistita dall’avvocato Marilena Messina.
A cominciare dall’ottobre 2017, R.P. sarebbe stata aggredita fisicamente e verbalmente (“Sei una puttana, una troia…”). Oltre ad offenderla, le avrebbe anche controllato continuamente il telefono cellulare, le avrebbe impedito di uscire da casa da sola o con le amiche, avrebbe minacciato di fare del male sia a lei, che alla sua famiglia.
Maltrattamenti continui che nella giovane avrebbero ingenerato “un fondato timore per la sua incolumità e quella dei suoi genitori”. Il 31 marzo 2018, poi, le sferrò un calcio all’altezza dell’addome, facendola cadere a terra priva di sensi. E questo sol perché lei gli disse che voleva tornare a vivere con i suoi genitori. Questi ultimi, avvisati di quanto era accaduto, si precipitarono in soccorso della figlia, ma lui si rifiutò di aprire la porta di casa. Due giorni dopo, la ragazza decideva di interrompere la relazione e tornare dai suoi genitori. Ma lui, non rassegnato, nel corso di un “incontro chiarificatore”, dopo averla nuovamente insultata, le avrebbe sfilato il telefono cellulare dalla tasca dei pantaloni, restituendoglielo solo grazie all’intervento dei carabinieri. Nelle settimane successive, avrebbe cominciato a seguirla e minacciarla. Le avrebbe anche squarciato le gomme dell’auto e sarebbe andato ad infastidirla anche sul luogo di lavoro (Hotel Kempiski). Il 29 aprile un’altra aggressione. Afferrata per il capelli, le avrebbe sbattuto più volte la faccia a terra. L’indomani, per sfuggire alle violenze, R.P. decide di andare a lavorare prima in Germania e poi sul lago di Garda. Ma tornata a Mazara, alcuni mesi dopo, le violenze sarebbero continuate.