L'alcamese Gaetano Santangelo ha ottenuto un secondo maxi risarcimento dopo essere stato scagionato dall'infamante accusa di aver partecipato alla strage della casermetta di Alcamo marina nel 1976. Ora è stato nuovamente riconosciuto come vittima di un clamoroso errore giudiziario. Un milione di euro, gli fu riconosciuto per ingiusta detenzione dal momento che si fece 2 anni e 2 mesi di reclusione quando ancora era minorenne, adesso la Corte d'appello di Catania dove è stato celebrato il processo ha riconosciuto a Santangelo altri 2 milioni e 900 mila euro.
La cifra è stata quantificata per il danno patrimoniale, dopo il ricorso fatto dai suoi legali, Baldassare Lauria e Alessandro Finazzo: «Ora siamo soddisfatti - dichiarano i due difensori -, è stato riconosciuto il diritto al risarcimento di tutti i danni anche per chi si è reso latitante come Santangelo, dove la relativa sentenza di condanna è stata poi ritenuta illegittima. Si tratta di un cambio di rotta della giurisprudenza italiana che prima di questo caso riteneva insussistente il diritto per il condannato latitante».
Santangelo si rifugiò in Brasile con un altro alcamese accusato ingiustamente sempre della strage della casermetta dei carabinieri: parliamo di Vincenzo Ferrantelli, anche lui 60enne, a cui era stato già riconosciuto un risarcimento di quasi 3 milioni di euro. Ferrantelli e Santangelo furono condannati rispettivamente a 14 e 22 ani di carcere, ma tra un processo e l'altro riuscirono a trovare il modo di fuggire in terra sudamericana. Il Brasile respinse la richiesta di estradizione delle autorità italiane e i due alcamesi evitarono così di tornare in carcere. Non fece la stessa scelta un altro degli alcamesi imputati, Giuseppe Gulotta, 61 anni, che infatti ha dovuto subire una reclusione lunga 22 anni prima che venisse a galla la verità di quella terribile notte a cavallo tra il 26 e il 27 gennaio del 1976, quando morirono crivellati di colpi i due carabinieri Carmine Apuzzo e Salvatore Falcetta.
Tra gli imputati e condannati anche Giovanni Mandalà che però non ha mai potuto più riassaporare il profumo della libertà perché morì nel 1998. La sentenza di assoluzione, dopo la revisione del processo, è arrivata infatti soltanto nel 2012. Gulotta ha ottenuto 6 milioni e mezzo per l'ingiusta detenzione ma la partita non si è chiusa ancora qui: infatti pende un'ulteriore causa civile contro l'Arma dei carabinieri per le torture e gli atti illegali cui furono vittime gli stessi Gulotta, Mandalà, Ferrantelli e Santangelo. I nomi dei quattro furono fatti da Giuseppe Vesco, altro alcamese su cui inizialmente si concentrarono i sospetti e che si suicidò in circostanze misteriose in carcere. A far venire a galla l'altra faccia della storia fu un ex brigadiere dei carabinieri, Renato Olino, che preso dal rimorso solo molti anni dopo ammise che Vesco fu oggetto di torture e dunque costretto a fare dei nomi che gli furono sostanzialmente estorti. Da qui la revisione del processo che all'epoca si era già chiuso con le condanne in via definitiva.