Limando le pene inflitte in primo grado dal gup Walter Turturici, la Corte d’appello di Palermo ha sostanzialmente confermato le condanne a sei presunti boss e favoreggiatori del boss latitante Matteo Messina Denaro coinvolti in una inchiesta del 2015 (“Ermes”) che fece luce sull'ultima rete di «postini» al servizio del boss castelvetranese.
Tra gli imputati, accusati a vario titolo di mafia e favoreggiamento, anche il capomafia Domenico Scimonelli, boss di Partanna, tra i fedelissimi del padrino trapanese che ha avuto 14 anni. Scimonelli, secondo i pm avrebbe anche riciclato in Svizzera i soldi di Messina Denaro.
A 14 anni e 4 mesi è stato condannato il presunto capomafia di Salemi Michele Gucciardi e a 10 Pietro Giambalvo, uomo «d’onore" della «famiglia» di Santa Ninfa. Rispettivamente 11 e 8 anni hanno avuto Vincenzo Giambalvo, altro presunto esponente del clan di Santa Ninfa, e il salemitano Michele Terranova. Per favoreggiamento alla mafia, 4 anni di carcere sono stati inflitti all’autotrasportatore Giovanni Loretta, di Mazara del Vallo. Lo scorso 8 gennaio, mettendo sul tavolo dei giudici altre deposizioni del defunto “dichiarante” Lorenzo Cimarosa, il primo “pentito” della famiglia mafiosa di Castelvetrano, il procuratore generale della Corte d’appello di Palermo aveva ribadito la richiesta di conferma delle condanne inflitte in primo grado dal gup Turturici. L’indagine, per l’accusa, consentì allora di smantellare l’ultima rete di “postini” al servizio del boss latitante. In primo grado, per i sei imputati il pm Paolo Guido aveva invocato poco più di 65 anni di carcere. Ma al termine del processo abbreviato, il 2 maggio 2016, il gup Turturici ne inflisse 80. Quindici in più di quelli chiesti dalla stessa accusa. Nonostante gli sconti di pena previsti dal rito alternativo. A 17 anni ciascuno furono condannati il partannese Giovanni Domenico Scimonelli, un “colletto bianco” ritenuto tra gli uomini più vicini a Messina Denaro (avrebbe anche reinvestito in Svizzera i soldi del boss), il presunto capomafia di Salemi Michele Gucciardi e Pietro Giambalvo, uomo “d’onore” della “famiglia” di Santa Ninfa. Rispettivamente 13 e 12 anni furono, invece, condannati Vincenzo Giambalvo, altro presunto esponente del clan di Santa Ninfa, e il salemitano Michele Terranova. Per favoreggiamento alla mafia (non per associazione mafiosa come i primi cinque), 4 anni di carcere furono, infine, inflitti all’autotrasportatore mazarese Giovanni Loretta, fratello di Carlo Antonio e Giuseppe Loretta, poi coinvolti nell’operazione antimafia “Ermes 2”. Il gup dispose, inoltre, risarcimenti danno in favore delle parti civili: Sicindustria e Associazione antiracket Trapani (avvocato Giuseppe Novara), Comuni di Castelvetrano (avvocato Vasile) e Salemi, l’immancabile associazione antiracket “La Verità Vive” di Marsala (avvocato Peppe Gandolfo), Antiracket Alcamese e Centro studi “Pio La Torre”. Dalle indagini è emerso che lo smistamento dei “pizzini” sarebbe avvenuto in due masserie nelle campagne di Mazara e Campobello di Mazara, di proprietà del defunto capomafia mazarese Vito Gondola e di Michele Terranova. Matteo Messina Denaro si sarebbe rivolto a Gondola dopo l'arresto della sorella Patrizia e del nipote Francesco Guttadauro. Tra le contestazioni mosse a Domenico Scimonelli, anche quella di avere tentato di avvicinare un funzionario del ministero dello Sviluppo Economico per ottenere un finanziamento di 700 mila euro. Inoltre, i suoi frequenti viaggi in Svizzera (Scimonelli aveva un ufficio a Milano), secondo gli inquirenti, potrebbero essere stati compiuti per conto del boss latitante che, oltre i confini nazionali, nasconderebbe le ingenti ricchezze accumulate. A difendere i sei imputati sono gli avvocati Calogera Falco, Enzo e Enrico Trantino, Paolo Paladino, Luigi Pipitone, Walter Marino, Domenico Trinceri.