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25/04/2019 07:23:00

Mafia, chiesti 12 anni per il "re dell'eolico" Vito Nicastri

Il Pm della Dda di Palermo Gianluca De Leo ha chiesto la condanna a 12 anni di carcere per concorso in associazione mafiosa e intestazione fittizia di beni per l'imprenditore Vito Nicastri detto il "re dell'eolico". Nicastri è stato coinvolto nell'inchiesta della Procura di Palermo su un giro di mazzette alla Regione che ha per protagonista Paolo Arata, ex deputato di Forza Italia ora vicino alla Lega. L'inchiesta ha una tranche romana che riguarda il sottosegretario della Lega Armando Siri, accusato di corruzione.

Nicastri era stato arrestato lo scorso anno. Per i pm sarebbe vicino al boss Matteo Messina Denaro a cui avrebbe finanziato la latitanza. All'imprenditore vennero concessi i domiciliari, ma da casa "il re dell'eolico" continuava a delinquere e fare affari violando i divieti di comunicazione imposti dal giudice. La circostanza è venuta fuori proprio nell'indagine sulle mazzette alla Regione, nel frattempo aperta dalla Procura, che coinvolge anche Arata e alcuni dirigenti regionali. E ha spinto la Procura a chiedere per l'imprenditore il ripristino della custodia cautelare in carcere. Mentre i pm continuavano a indagare sulle tangenti che sarebbero state pagate per sbloccare procedimenti amministrativi legati alle energie rinnovabili, proseguiva il processo in abbreviato per concorso in associazione mafiosa e intestazione fittizia in cui Nicastri è stato imputato dopo l'arresto dell'anno scorso. Con l'imprenditore sono finiti davanti al gup il fratello Roberto, anche lui accusato di concorso in associazione mafiosa, per cui oggi sono stati invocati 10 anni. Imputati anche Melchiorre Leone e Girolamo Scannariato, per cui sono stati chiesti 12 anni e Giuseppe Bellitti, per cui è stata sollecitata la condanna a 10 anni. Sono tutti accusati di associazione mafiosa.

Il procedimento è stato istruito dalla Direzione distrettuale antimafia di Palermo, che indaga Nicastri in un secondo procedimento in cui è coinvolto anche Arata, accusato di trasferimento fraudolento di beni con l’aggravante del metodo mafioso. L’ipotesi è che Arata sia una «testa di legno» di Nicastri, ritenuto dai pm di siciliani uno dei finanziatori del boss latitante Matteo Messina Denaro.

Stando alle indagini della Direzione investigativa antimafia «sono stati acquisiti elementi di prova circa l’esistenza di un reticolo di società, tutte operanti nel mercato delle energie rinnovabili, facenti capo solo formalmente alla famiglia Arata (oltre a Paolo, anche al figlio Francesco ed alla moglie Alessandra Rollino), ma di fatto partecipate occultamente da Vito Nicastri, vero regista delle strategie imprenditoriali, considerato dal medesimo Paolo Arata “la persona più brava dell’Eolico in Italia”». I pm siciliani ritengono che Arata sia stato una «testa di legno» di Nicastri. Accertamenti ulteriori avrebbero dimostrato che lo stesso Nicastri sarebbe legato a doppio filo con ambienti mafiosi, tanto da gestire imprese direttamente connesse ad ambienti vicini a Matteo Messina Denaro.

Stando all’accusa dei pm di Roma, invece, «Armando Siri, senatore e sottosegretario di Stato presso il ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, ed in tale duplice qualità di pubblico ufficiale, per l’esercizio delle sue funzioni e dei suoi poteri, asservendoli ad interessi privati riceveva indebitamente la promessa di 30mila euro da Paolo Franco Arata, amministratore della Etnea srl, della Alqantara srl, dominus della Solcara srl e della Solgesta srl». Stando agli investigatori Siri (che nel 2014 ha patteggiato una condanna a un anno e otto mesi di reclusione per bancarotta fraudolenta) avrebbe concordato «con gli organi apicali dei ministeri (Infrastrutture, Sviluppo economico e Ambiente) l'inserimento in provvedimenti normativi di competenza governativa di rango regolamentare (decreto interministeriale in materia di incentivazione dell'energia elettrica da fonti rinnovabili) e di iniziativa governativa di rango legislativo (legge cosiddetta Mille proroghe, di Stabilità e legge cosiddetta Semplificazione) ovvero proponendo emendamenti contenenti disposizioni in materia di incentivi per i minieolico». Secondo i magistrati, però, il vantaggio diretto di questi provvedimenti sarebbe andato all’imprenditore Vito Nicastri, reale titolare delle aziende nonché ritenuto vicino al boss latitante Matteo Messina Denaro.

Il collaboratore di giustizia Lorenzo Cimarosa racconta di una borsa piena di banconote fatta avere al boss ricercato Matteo Messina Denaro. Soldi per una latitanza, ormai lunga 26 anni, che l’imprenditore alcamese Vito Nicastri avrebbe mandato al capomafia attraverso una serie di uomini fidati. «Le cose le faceva per l’amico suo di Castelvetrano», sussurra, non sapendo di essere intercettato il mafioso mazarese Giuseppe Sucameli parlando di Nicastri: e l’amico di Castelvetrano, non hanno dubbi i magistrati, è sempre la primula rossa di Cosa nostra. Rapporti strettissimi, insomma, d’affari e d’amicizia costati all’imprenditore l’arresto e oggi una richiesta di condanna a 12 anni in abbreviato per concorso in associazione mafiosa e intestazione fittizia di beni.