“I pentiti ascoltati sono inattendibili. Ci sono, poi, incongruenze sui dati tecnici relativi all’orario dell’omicidio e alla presenza di Scimonelli a Partanna nel luogo dei fatti”. E’ quanto ha sostenuto, ieri, in sintesi, l’avvocato difensore Calogera Falco nel processo d’appello, a Palermo, al 51enne presunto boss mafioso partannese Giovanni Domenico Scimonelli quale “mandante” dell’omicidio di Salvatore Lombardo, assassinato con due fucilate, a Partanna, davanti il bar “Smart Cafè”, il 21 maggio 2009. L’ucciso, un pastore con precedenti penali, aveva 47 anni.
Il 17 gennaio 2018, Scimonelli è stato condannato all’ergastolo dalla Corte d’assise di Trapani. E anche in appello il pm Carlo Marzella ha invocato la massima pena. Ad indicare Scimonelli come colui che ordinò l’omicidio sono stati i due uomini che dopo l’arresto (novembre 2015) decisero di collaborare con la giustizia, autoaccusandosi come autori materiali del delitto: Attilio Fogazza, 46 anni, di Gibellina, e Nicolò Nicolosi, anch’egli di 46 anni, di Vita. Il 21 aprile 2017, Nicolosi e Fogazza (a sparare sarebbe stato il primo, mentre il secondo era alla guida dell’auto) sono stati condannati a 16 anni di carcere ciascuno dal gup di Palermo Filippo Anfuso.
Secondo l’accusa, Lombardo sarebbe stato punito per il furto di un furgone carico di merce del supermercato Despar di Partanna, di cui, all’epoca, “Mimmo” Scimonelli, condannato a 14 anni per mafia nell’appello “Ermes”, sarebbe stato gestore “di fatto”. Sul caso, nel 2015, ha fatto luce un’indagine dei carabinieri. Secondo l’avvocato Falco, però, ci sono “piste alternative” a quella della “punizione” per il furto del furgone carico di merce. “Scimonelli – sostiene la difesa - non è stato il mandante dell’omicidio Lombardo. Anche Fogazza e Nicolosi avrebbero avuto degli interessi. Anche loro orbitavano nel malaffare della droga”. Secondo il legale, infine, nella ricostruzione dei fatti “non coincide niente”. La sentenza è attesa per la fine di giugno.