E’ una storia in perfetto stile “fratelli coltelli” quella su cui la Cassazione ha posto il suo sigillo.
Rigettando, infatti, il ricorso del mazarese Eduardo Asaro, la Suprema Corte ha reso definitiva la condanna a due anni di reclusione per bancarotta fraudolenta inflitta, con patteggiamento, nel febbraio 2017, dal gup Riccardo Alcamo all’imprenditore, legale rappresentante della società “Mare azzurro srl”, dichiarata fallita dal Tribunale di Marsala il 7 giugno 2013. E definitiva è anche la condanna al risarcimento danni e al pagamento delle spese legali alla “parte offesa”. Ovvero, il fratello Giovanni Asaro. Una storia, dunque, in stile “fratelli coltelli”.
A Eduardo Asaro la Procura marsalese ha contestato diversi fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale, nonché la sottrazione e/o distruzione di libri e scritture contabili della “Mare azzurro”. In particolare, nel secondo semestre del 2012. Notevole (oltre tre milioni di euro) il “giro” di movimenti economici contestato dagli investigatori all’imprenditore: pagamenti solo ad alcuni creditori, a danno degli altri, ma anche del fratello e socio, e cessioni di mezzi, tra cui anche una Porsche Cayenne. “Ben consapevole dell’effettiva situazione patrimoniale della società Mare Azzurro – si legge nel capo d’accusa – e dello stato di decozione nella quale la società già versava, prima della procedura fallimentare, allo scopo di favorire alcuni creditori, a danno della par condicio creditorium, eseguiva, tra l’1 giugno 2012 e il 7 giugno 2013, pagamenti per complessivi euro 3.209.090”. Secondo l’accusa, inoltre, Eduardo Asaro avrebbe tenuto le scritture contabili in modo da “non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari della Mare Azzurro e in particolare non riportava nel registro dei beni ammortizzabili le annotazioni riferite ad ogni singolo bene immobile strumentale e mobile iscritto nei pubblici registri”.
L’inchiesta, coordinata dal pm Antonella Trainito, è stata condotta dalla sezione di pg della Guardia di finanza della Procura, all’epoca diretta dal luogotenente Antonio Lubrano. Ad assistere Giovanni Asaro, costituitosi parte civile, sono stati gli avvocati Stefano Pellegrino e Daniela Ferrari, che esprimendo “soddisfazione” per la sentenza della Suprema Corte hanno anticipato che è intenzione del loro cliente “agire nelle opportune sedi per ottenere il risarcimento dei danni che la condotta infedele di Eduardo Asaro gli ha arrecato”. Peraltro, spiegano i due legali, Giovanni Asaro “era stato fortemente provato da altra vicenda giudiziaria essendo stato imputato e poi assolto quale socio della ‘Mare Azzurro srl’ per fatti di insolvenza fraudolenta ai danni di Catanzaro Vincenzo e di Licata Calogero. Anche per tale vicenda il Tribunale di Marsala aveva ritenuto la responsabilità di Asaro Eduardo, condannandolo alla pena di sei mesi di reclusione”. Adesso, dopo la sentenza definitiva, Giovanni Asaro “cercherà di recuperare, seppur in parte, quanto negli anni di gestione societaria gli è stato sottratto dal fratello Eduardo e di riottenere la serenità nel lavoro e nella famiglia che, dopo i fatti, aveva perso, pur avendo sempre confidato nei valori della legalità e della giustizia”. A difendere Edoardo Asaro è stato l’avvocato Paolo Paladino.