«Erano da poco passate le 6 del mattino, ho sentito le urla e sono uscito dalla cabina. È stato l'inferno, c'erano centinaia di migranti in acqua. Qualcuno si aggrappava ai cadaveri o alle bottiglie d'acqua per cercare di restare a galla.
Ho iniziato con gli altri componenti dell'equipaggio e fatto salire quanti più possibili naufraghi, alla fine ne abbiamo salvati quarantasette». Vito Fiorino, con gli occhi ancora lucidi, è il proprietario di un piccolo peschereccio, il Gamal, che il 3 ottobre del 2013 salvò quasi cinquanta migranti. L'eroe, non troppo celebrato, ha ricordato i tragici momenti che precedettero la strage in cui ci furono 366 morti accertati al largo di Lampedusa.
Lo ha fatto ieri mattina al processo, in corso davanti al giudice monocratico Alessandro Quattrocchi, dove sono imputati, con l'accusa di omissione di soccorso, Matteo Gancitano, 67 anni, di Mazara del Vallo, comandante del peschereccio «Aristeus», e i componenti dell'equipaggio, quattro dei quali sono africani (tre tunisini e un senegalese) e due mazaresi. L'accusa per la quale sono stati rinviati a giudizio è quella di non avere soccorso i migranti nonostante i segnali di allarme.