Nell’aula-bunker del carcere “Pagliarelli” di Palermo, il pm della Dda Francesca Dessì ha invocato condanne per complessivi 176 anni e 4 mesi di reclusione per i 14 imputati del procedimento di mafia “Anno Zero” che hanno scelto il rito abbreviato.
La pena più severa (20 anni) è stata chiesta per i campobellesi Vincenzo La Cascia e Raffaele Urso, detto “Cinuzzo”. Entrambi considerati elementi in seno a Cosa Nostra belicina, che al vertice vede il superlatitante Matteo Messina Denaro.
Sedici anni, invece, sono stati invocati per Nicola Accardo, presunto capomafia di Partanna, per il castelvetranese Giuseppe Tilotta e il campobellese Andrea Valenti. Quattordici anni per il partannese Antonino Triolo e per il mazarese Angelo Greco. Dodici anni, invece, per i castelvetranesi Giuseppe Paolo Bongiorno, Calogero Guarino, e Leonardo Milazzo, e il campobellese Filippo Dell’Aquila. Otto anni per il campobellese Mario Tripoli, recentemente condannato a Marsala a 5 anni e 8 mesi per fatti di droga. Due anni e quattro mesi, infine, il castelvetranese Bartolomeo Tilotta e due anni per il suo compaesano Giuseppe Rizzuto. Questi ultimi accusati di favoreggiamento. Davanti al gup Cristina Lo Bue, il pm ha avanzato le sue richieste al termine di una requisitoria durata tre udienze. Nell’operazione “Anno Zero” finirono in carcere presunti boss, gregari e fiancheggiatori del clan Messina Denaro. Il blitz scattò all’alba del 19 aprile 2018. Ventidue furono i provvedimenti di fermo emessi dalla magistratura. Tra questi, uno anche per Matteo Messina Denaro, la cui posizione, però, è già stata stralciata dal gup Lo Bue in quanto “irreperibile”, con rinvio al 21 febbraio 2020. Sotto processo davanti il Tribunale, invece, sono finiti in diciotto. Tra loro anche due cognati del boss latitante. E cioè Gaspare Como e Rosario Allegra, di 50 e 65 anni. E alla prima udienza, lo scorso 28 maggio, è arrivata in aula la notizia che quest’ultimo, da alcuni giorni, era ricoverato, intubato e in prognosi riservata, nel reparto di Rianimazione dell’azienda ospedaliera “Santa Maria” di Terni. Mentre era recluso nel carcere umbro, è stato, infatti, colto da infarto. Dei due, secondo l'accusa, un ruolo di primo piano avrebbe avuto il più giovane, che sarebbe stato designato dal cognato, per un certo periodo, quale "reggente" del mandamento di Castelvetrano. Le indagini, inoltre, nel tempo hanno individuato ai vertici del mandamento mafioso di Castelvetrano altri due cognati di Matteo Messina Denaro, Filippo Guttadauro e Vincenzo Panicola, poi il fratello Salvatore Messina Denaro, e quindi il cugino Giovanni Filardo. E ancora la sorella Patrizia Messina Denaro e i nipoti Francesco Guttadauro e Luca Bellomo. Nell'inchiesta, è emerso l'interesse del clan anche nel settore delle scommesse on line, oltre ai reati di associazione mafiosa, estorsione e danneggiamenti. Dei 14 processati in abbreviato a Palermo, intanto, sono reclusi in regime di “41 bis” (carcere duro), Nicola Accardo, Vincenzo La Cascia e Raffaele Urso. Tra difensori impegnati a Marsala e a Palermo, gli avvocati Giuseppe Ferro di Gibellina, Vito Cimiotta, Luca Cianferoni, Luisa Calamia, Vincenzo Salvo, Giuseppe Pantaleo, Walter Marino, Francesco Moceri e Gianni Caracci. Parti civili sono Sicindustria, Antiracket Trapani (avv. Giuseppe Novara), Centro “Pio la Torre”, “La verità vive” di Marsala (avv. Peppe Gandolfo), Codici Sicilia (avv. Giovanni Crimi), Antiracket Alcamo, Comune Castelvetrano e Pasquale Calamia. Quest’ultimo ex consigliere comunale del Pd a Castelvetrano, che tra il 2008 e il 2013 subì alcune intimidazioni. Oltre a Como ed Allegra, imputati a Marsala sono anche Gaspare Allegra, di 35, Vittorio Signorello, di 56, Giuseppe Tommaso Crispino, di 66, Calogero Giambalvo, di 43, Carlo Lanzetta, di 71, Giuseppe Orlando, di 50, Anna Maria Orlando, di 40, Nicola Scaminaci, di 46, e Carlo Cattaneo, di 34, operante del settore delle sale giochi e scommesse on line, tutti di Castelvetrano, Dario Messina, di 34, nuovo presunto “reggente” del mandamento di Mazara del Vallo, Giovanni Mattarella, di 53, genero del defunto boss Vito Gondola, Bruno Giacalone, di 58, Marco Buffa, di 46, ritenuti appartenenti alla stessa famiglia mafiosa, Vito Bono, di 59, Giuseppe Accardo, di 35, e Maria Letizia Asaro, di 41, di Campobello di Mazara.