Informativa
Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy.
Se vuoi saperne di più negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie. I cookie ci aiutano a fornire i nostri servizi.
Utilizzando tali servizi, accetti l'utilizzo dei cookie. Cookie Policy   -   Chiudi
20/06/2019 08:00:00

Silvana Saguto fa ricorso contro la radiazione dalla magistratura

Ci sono tre ragioni che spingono la difesa a chiedere alle sezioni unite civili della Cassazione la cancellazione della radiazione di Silvana Saguto. Tra queste non c'è la presenza di Luca Palamara nel collegio che giudicò colpevole, dal punto di vista disciplinare, l'ex presidente della sezione disciplinare del Csm. Ma la massima punizione per l'ex magistrato arrivò a procedimento penale tutt'altro che definito: cosa che oggi potrebbe avvenire anche per il leader della corrente di Unicost ed ex componente del Csm nel quadriennio terminato l'anno scorso. In ogni caso, per la Saguto la Suprema Corte deciderà con una sentenza che sarà depositata contestualmente alla motivazione.

Al di là di questi aspetti, gli avvocati Ninni Reina e Massimiliano Martinelli hanno puntato sui motivi di diritto, gli unici che possono ribaltare il verdetto tranchant della sezione disciplinare del Csm. Il primo riguarda la mancata presenza della Saguto all'udienza in camera di consiglio in cui si decise la sua cacciata: per motivi di salute aveva presentato più volte certificati medici, fino a quando una visita fiscale non stabilì che era in grado di partecipare al procedimento, ma non di viaggiare. La disciplinare decise così di giudicarla a distanza, in videoconferenza, metodo che da agosto 2018 si applica per i detenuti, anche per quelli non al 41 bis. Qui, secondo i legali, ci sarebbe una doppia violazione: la normativa si applica, appunto, ai soli imputati che si trovano in carcere e poi, anche se era già stata approvata, è entrata in vigore non a marzo 2018, quando si celebrò il giudizio, ma 5 mesi dopo. L'incolpata non avrebbe così potuto esercitare il diritto di difesa.