I primi a vedere il loro assegno (notevolmente) ridotto saranno gli ex segretari generali dell'Ars. Le figure al vertice della piramide burocratica del Parlamento vedranno ridotta la loro pensione del 40 per cento. Tutti gli altri ex dipendenti subiranno una riduzione che oscilla fra il 15 e il 35%.
E così, in attesa del taglio dei vitalizi agli ex parlamentari, l'Ars riduce le pensioni agli ex superburocrati. Recependo, questa volta all'unanimità e con procedura rapida, una delle misure varate a Roma dal governo giallo-verde. A differenza del taglio dei vitalizi, che verrà fatto con legge, questa volta l'Ars ha agito con una delibera del consiglio di presidenza adottata - sottolinea il presidente Gianfranco Micciché - all'unanimità ieri e immediatamente esecutiva. Non sarà necessario un voto dell'aula di Sala d'Ercole.
Il taglio delle pensioni durerà cinque anni e ha la veste normativa del contributo di solidarietà chiesto a chi guadagna di più. Funzionerà così: le pensioni che vanno da 100 mila a 130 mila euro all'anno verranno ridotte del 15%. Chi incassa fra i 130 mila e i 200 mila euro all'anno subirà una decurtazione del 25%. Da questa fascia in su il taglio diventa molto più sensibile. Le pensioni comprese fra i 200 mila e i 350 mila euro all'anno verranno ridotte del 30%. Quelle comprese fra i 350 mila e i 500 mila euro avranno un taglio del 35%. Infine, come detto, gli assegni superiori ai 500 mila euro all'anno verranno ridotti del 40%.
Con questo schema a pagare di più saranno ovviamente gli ex segretari generali dell'Ars. Tutti sopra la soglia dei 500 mila euro annui. Negli ultimi anni, anche per effetto dei prepensionamenti che hanno modificato la mappa della burocrazia, hanno lasciato questo incarico Giovanni Tomasello e Sebastiano Di Bella: entrambi sopra la soglia massima a cui andrà applicato il taglio del 40%. Fra gli ex segretari generali che subiranno il taglio più pesante c'è anche Gian Liborio Mazzola. E in questa fascia si iscrive anche l'ex segretario generale aggiunto Paolo Modica de Mohac che ha ricoperto questo incarico ai tempi della presidenza Cascio e che è uno dei super burocrati che ha lasciato l'incarico molto giovane grazie ai prepensionamenti avviati dal 2012 in poi.
Il prepensionamento è una via di fuga dall'amministrazione scelta dai dirigenti del Parlamento negli ultimi anni proprio per sfuggire al taglio degli stipendi che è stato progressivamente avviato dal 2012 in poi. I prepensionamenti hanno fatto sì che i superburocrati, anche quelli di fascia più bassa, potessero lasciare l'Ars in qualche caso anche con appena 53 anni di età facendo lievitare il costo delle pensioni a carico del Parlamento fino a 50 milioni. È a questi pensionati che si rivolge il taglio deciso ieri: una platea di circa un centinaio di ex burocrati che andando via ha evitato il taglio dello stipendio e ha salvato quindi una proporzionale pensione d'oro. Dirigenti che però si iscrivono in fasce più basse rispetto a quelle dei segretari generali.
Quanto vale questa sforbiciata lo hanno calcolato i grillini: «Risparmieremo circa 4 milioni e mezzo all'anno» hanno sottolineato Giancarlo Cancelleri, Salvatore Siragusa e Stefano Zito membri 5 Stelle del consiglio di presidenza. «Abbiamo dato una bella sforbiciata ai privilegi dei burocrati di questo palazzo - spiegano Cancelleri, Siragusa e Zito -. Si tratta di un provvedimento di equità e giustizia sociale, dato che il lavoratore medio siciliano, se ha la fortuna di arrivare alla pensione, una cifra del genere non la vedrà mai nemmeno con il binocolo».
A differenza di quanto avvenuto nel dibattito che riguarda gli ex deputati e i loro vitalizi, questa volta nessun partito si è opposto o ha sollevato dubbi di costituzionalità. Probabilmente perché un taglio simile, anche se dagli importi molto diversi, era già stato applicato per un triennio nel 2016. E ancora prima era stato deciso dal governo Monti nel 2011. In quella occasione però gli ex superburocrati si opposero e con un ricorso ottennero l'annullamento del provvedimento e perfino la restituzione delle somme trattenute in precedenza. Anche per questo motivo, temendo un analogo ricorso, il consiglio di presidenza dell'Ars ieri ha deciso che i 4 milioni e mezzo risparmiati con questo provvedimento verranno accantonati fino alla scadenza dei termini per i vari ricorsi e, eventualmente, fino alla chiusura della fase processuale. In ogni caso il taglio scatterà dal primo gennaio del 2019 e si protrarrà fino alla fine del 2023.
Approvato in consiglio di presidenza anche il codice etico, proposto dalla commissione Antimafia guidata da Claudio Fava, che introduce vincoli comportamentali per i deputati. Così anche questo provvedimento evita il voto dell'aula e diventa subito esecutivo anche se Fava sta verificando un «effetto collaterale» della procedura seguita per questo provvedimento: il mancato voto dell'aula impedirebbe al codice etico di diventare un capitolo del regolamento dell'Ars, depotenziandone un po' l'efficacia.
Neanche un voto è stato invece fatto sulla Finanziaria bis. La manovra nata per coprire i tagli decisi a febbraio in settori cruciali come il trasporto pubblico locale, i forestali, i teatri e gli enti regionali. L'aula avrebbe dovuto iniziare a votare alle 16 ma dopo ore di riunioni per trovare una intesa sulle misure e sugli stanziamenti Micciché ha deciso di rinviare le votazioni a oggi. Per il Pd «è il segnale evidente della crisi della maggioranza. Il governo appare in stato confusionale - è il commento del capogruppo Giuseppe Lupo - trascina la manovra bis da sei mesi e oggi ha addirittura presentato due nuove proposte di riscritture sullo stesso articolo, a distanza di mezz'ora. Tutto questo in previsione di una seduta d'aula mai iniziata».
Fonte:Gds