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11/07/2019 06:05:00

Il caos nel Pd in Sicilia, il partito verso il commissariamento

 La storia del commissariamento del Partito Democratico in Sicilia sta assumendo caratteristiche grottesche.


Nicola Zingaretti, segretario nazionale, non ha deciso nulla, rimanda la questione di settimana in settimana, e non è la sola questione che non affronta, da marzo ad oggi la sua incisività politica è stata irrilevante.
I discorsi seguono linee generali, non entrano mai nel merito delle cose e non c’è una idea di opposizione al governo nazionale che possa essere in grado di costruire una alternativa.


E’ un partito che ha scelto di piegarsi su se stesso, un partito che non riesce a trovare equilibri rinnovati ed energie spendibili, che alla strategia e programmazione preferisce leccarsi le ferite di una faida interna senza fine.
In Sicilia questo commissariamento dovrebbe avvenire per le modalità con cui il segretario regionale, Davide Faraone, è stato eletto: il ritiro di Teresa Piccione che adduceva irregolarità varie.


Questo accadeva a dicembre 2018, a distanza di sette mesi la pace non è stata fatta e i notabili del partito ne chiedono o le dimissioni o il commissariamento.
La questione si è spostata a Roma, le armi da guerra sono tutte pronte in Sicilia.
Si tratta in verità di una scissione annunciata da sempre e praticata da mai, due anime del partito che non dialogano, che hanno idee di governo e di opposizione completamente diverse.


Accade al governo nazionale ma anche in quello regionale dove il capogruppo dem, Peppino Lupo, ha indicato la via di un dialogo con i Cinque Stelle su alcuni punti, a fargli da contraltare lo stesso Giancarlo Cancelleri.
I notabili del partito contro i renziani, questo a Roma come a Palermo, sembrano deputati di gruppi diversi. Due anime che parlano linguaggi opposti, inconciliabili tra di loro.


Per molti della vecchia guardia il dialogo con i pentastellati è la strada da seguire per bloccare l’ascesa di Matteo Salvini e anche per tornare al governo, in Sicilia l’asse porterebbe ad una seria opposizione a Nello Musumeci.
Movimenti che sottolineano come il Pd sia un partito che è imploso.


La politica ridotta ad un tiro alla fune, chi tirerà più forte avrà avuto ragione, non conteranno le idee.
Altro nodo da affrontare è se aprire il partito ai moderati, per i notabili è un errore, per i renziani è un percorso dovuto in ragione dell’opposizione ad un centro destra a trazione salviniana e sovranista.


Un contenitore che sia amalga di moderati che non perdano di vista le battaglie sui diritti civili e la difesa dei più deboli, che si occupi di welfare senza ululare alla luna. E poi le riforme, quelle che hanno ingessato il Paese unitamente ad un Sud che non decolla per un mancato piano infrastrutturale e di politiche di sviluppo del lavoro.


La questione torna ad essere primaria: alleanza con i Cinque Stelle si, alleanza no? Per molti del Pd sarebbe l’unico modo per tornare ad occupare posizioni di governo, per i renziani uno schiaffo all’elettorato che crede in una politica che non sia aggressiva e che non punti continuamente il dito sugli errori altrui, alla ricerca perenne di un nemico, giudici di un percorso politico dove la morale è solo da una parte. Smentiti nei fatti dalle inchieste della magistratura.


La decisione sul commissariamento di Faraone dovrebbe arrivare il 13 luglio, sabato, e per la Piccione è necessario avviare la fase dei congressi a tutti i livelli sui territori, rinnovando la classe dirigente, magari con le stesse facce dei notabili di sempre che sono all’Ars da tre o quattro legislature, quindi da almeno 20 anni.