Il federalismo fiscale rischia di spaccare l’Italia e di presentare un duro conto alle Regioni meridionali. Se le carte in tavola non dovessero cambiare e il dispositivo normativo restasse quello di oggi sul tavolo Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, avrebbero dallo Stato trasferimenti in più per 2,7 miliardi.
Al contrario le Regioni più deboli, soprattutto, quelle del Sud, perderebbero risorse nette per 3,3 miliardi: l’Abruzzo perderebbe 64 milioni, la Basilicata 150, la Calabria 260, la Campania 696, il Lazio 1.770, la Liguria 318. Nel ribaltone ci guadagnerebbero anche Regioni intermedie o con costi pro capite particolarmente bassi (Marche, Puglia, Toscana e Piemonte) alle quali andrebbero 676 milioni in più.
A queste cifre va aggiunto il gettito aggiuntivo, dovuto alla compartecipazione all’Irpef, che alle tre Regioni locomotiva fornirebbe un bonus di 296 milioni. L’analisi viene da due economisti dell’Università di Ferrara, collaboratori della voce.info, Leonzio Rizzo e Riccardo Secomandi.
La cosiddetta autonomia differenziata è una versione del federalismo fiscale che riguarderebbe solo le tre regioni, Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, che hanno tenuto appositi referendum consultivi nel 2017. Per ora, dopo una lunga trattativa, è stata formalizzata nel “testo concordato” pubblicato dal Dipartimento per gli Affari Regionali e per le Autonomie. Si attende il consiglio dei ministri della prossima settimana per vedere il testo definitivo.
Le funzioni da regionalizzare secondo l’ultima bozza nota sono 23 per il Veneto, 20 per la Lombardia, 16 per l’Emilia Romagna. Si tratta di funzioni che costano 16,2 miliardi, di cui 11,4 per l’istruzione, che sembrerebbe tuttavia uscita dalla partita negli ultimi giorni di scontro politico. Nello specifico si tratta di istruzione scolastica e universitaria, sviluppo sostenibile e tutela del territorio, politiche per il lavoro, tutela e valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici, diritto alla mobilità e sistemi di trasporto (per Emilia Romagna si escludono porti e aeroporti civili), competitività e sviluppo delle imprese, energia (tranne Emilia Romagna), protezione civile, comunicazioni (non in Emilia Romagna), commercio internazionale.
Per capire la sostanza dell’operazione bisogna andare alle radici economiche della questione del federalismo fiscale. I leghisti dai tempi di Bossi e delle ampolle lamentano che le Regioni del Nord danno di più in termini di gettito fiscale pro capite di quanto ricevono in termini di trasferimenti per i servizi dallo Stato. Questo è vero per alcune proiezioni, ma molti economisti dicono che le risorse che vanno al Nord spesso non emergono dalle statistiche e ciò riduce il conto per circa il 43%. Di conseguenza la differenza tra dare e avere delle Regioni settentrionali, il cosiddetto “residuo fiscale”, sarebbe molto più basso del semplice saldo tra entrate e uscite.
L’esigenza di cambiare sistema, tuttavia, fa parte del programma di governo e il testo attuale prevede che si cambi registro. Invece di decidere dal centro i trasferimenti, sulla base della spesa storica cioè a pie’ di lista, si metterà in piedi un altro sistema. Si stabiliranno dei fabbisogni standard per i servizi, cioè degli equilibrati indicatori di costo, calcolati su bisogni ed efficienza, e le tre Regioni del Nord si pagheranno i servizi perché potranno contare su una percentuale fissa del gettito regionale dell’Iva.
Questa architettura, oltre ai punti deboli di fondo appena accennati, presenta un grosso rischio. Le bozze del provvedimento prevedono una clausola di salvaguardia: se entro tre anni non si riuscirà ad elaborare e a trovare un accordo sui fabbisogni standard, scatterà un sistema per cui le risorse nazionali saranno ripartite in base al costo medio. Il sistema appiattirebbe le esigenze e soprattutto spaccherebbe il paese con le cifre illustrate all’inizio. Il costo medio delle funzioni trasferite è infatti di 976 euro pro capite e le tre Regioni “separatiste” sono tutte sotto quella cifra: dunque avrebbero diritto a maggiori risorse dato il nuovo criterio. Le Regioni del Sud, spesso meno efficienti, ricevono più risorse pro capite per dare gli stessi servizi e subirebbero un taglio netto. Senza contare che rimarrebbe in vita nel frattempo la compartecipazione fissa all’Iva o all’Irpef del territorio: visto che Veneto, Lombardia ed Emilia corrono di più, avranno più Pil e più gettito Iva, e – secondo le bozze – potranno utilizzare liberamente queste risorse aggiuntive. Secondo lo studio Rizzo-Secomandi che apparirà sulla voce.info, il maggior gettito dovuto alla dinamica più forte dell’economia delle tre Regioni è di circa 296 milioni annui, circa la metà dell’incremento totale di tutte le Regioni.
Roberto Petrini, La Repubblica 22 Luglio 2019