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26/07/2019 06:00:00

La "Cerimonia del Ventaglio" diventa lo sfogatoio di Miccichè contro La Repubblica

La cerimonia del ventaglio a Palazzo dei Normanni si è trasformata in un fuori programma non consono alle istituzioni. L’appuntamento annuale è con la stampa parlamentare che regala un ventaglio decorato al Presidente dell’ARS, in Sicilia, al Presidente di Camera e Senato e della Repubblica per i poteri centrali. Il ventaglio, come vuole la tradizione, viene firmato dai giornalisti.

La cerimonia che si è svolta alla presenza di Gianfranco Miccichè ha sortito un fuori onda da bar e non da presidente dell’Assemblea regionale. Ha preso di mira la testata La Repubblica sostenendo che da questa subisce delle calunnie in merito al caso Arata e sui costi del 2018 dell’ARS:

Questo ventaglio lo ricevo con piacere ma con grande amarezza, voglio capire che cosa si deve fare per evitare che la libertà di stampa significhi libertà di offesa: cosa che mi addolora. E se io oggi non posso essere sereno è perché sono condizionato da un giornale che scrive falsità”.

Poi continua Miccichè, che ha già firmato la querela contro il quotidiano: “Vorrei incontravi uno a uno. Non rubiamo, non facciamo niente di negativo, lavoriamo per i cittadini, ma perché devo ricevere questo ventaglio? Devo accettare un regalo che mi viene fatto da qualcuno che ogni giorno tenta di screditarmi? Sono molto stanco, sono dispiaciuto, chi mi sta vicino se ne accorge che mi viene il mal di stomaco. Credo di non meritarlo io e questa Assemblea che sta facendo di tutto per cercare di apparire meglio di una volta”.

In sala lo stupore è stato percepito da tutta la stampa presente, non per l’attacco al giornale che avrebbe diffamato e calunniato Miccichè ma per la tempistica e il luogo in cui queste rimostranze venivano fatte.
Ci sono le sedi opportune per far valere le proprie ragioni, la cerimonia del ventaglio non può diventare sfogatoio per presidenti che si sentono diffamati puntando il dito contro Emanuele Lauria, autore degli articoli, che opportunamente non ha firmato il ventaglio.

I giornalisti presenti non hanno preso alcuna posizione, si sono limitati ad un silenzio che, al di là dei torti e delle ragioni, ha prodotto molto rumore: la solidarietà tra colleghi è venuta meno, le ragioni di inopportunità hanno prevalso su logiche di buon senso.
La querelle è continuata anche dopo, Lauria dalla sua pagina Facebook lo dice con chiarezza: nulla di personale con Miccichè: “Ha solo sbagliato tempi e modi per esprimere il proprio disagio. Anche nel merito ovviamente per me non ha ragione, e ho spiegato perché. Non ce l’ho neppure tanto con i colleghi che hanno organizzato questa strampalata cerimonia del ventaglio, consentendo che si trasformasse in un processo a una singola testata, fornendo persino traballanti mezzi di prova al politico che si trasforma in pm. Non ce l’ho neppure con gli altri giornalisti presenti e silenti davanti a un simile teatrino, che si sono guardati bene dal fare quello che non corporativismo ma senso del ridicolo avrebbero imposto: lasciare la sala. Ce l’ho con noi. Con i tanti di noi, non tutti per fortuna, che hanno reso questa categoria così fragile e acquiescente da permettere tali licenze da parte di un rappresentante delle istituzioni che dovrebbe essere tenuto ad accettare le critiche e che, se si sente diffamato, può semplicemente utilizzare gli strumenti previsti dalla legge. Detto ciò, rifuggendo notoriamente da eroismi e vittimismi, mi taccio. Ma chissà che questa breve riflessione non contribuisca a un moto d’orgoglio in un mondo giornalistico affetto da tafazzismo. Chissà. Non ci credo tanto ma ci spero”.

Gli articoli che hanno suscitato scalpore sono due, uno relativo alle spese del 2018 dell’ARS che sarebbero state maggiori rispetto al 2017 e l’altro, più recente, relativo al caso Arata.

Miccichè corre ai ripari, scrive una lettera e si scompone quando Repubblica decide di non pubblicarla.
I politici dimenticano che i giornali, se diretti bene, non ratificano tutto quello che gli stessi vorrebbero far leggere ad altri: “Avevo chiesto, con molto garbo, la pubblicazione su la Repubblica - Palermo di questa lettera ma siccome c’erano scritte cose vere, cose giuste, cose che avrebbero dimostrato la superficialità o la malafede di qualche giornalista, hanno fatto orecchie da mercante. Di conseguenza la pubblico qui”.

Nella missiva Miccichè spiega alcuni passaggi della sua audizione in Commissione Antimafia relativamente al caso Arata: “Ho detto testualmente di non aver mai convocato Cocina per incontrare Arata; non ho mai invitato Cocina per un incontro con Arata. Su questa vicenda non c’è nessun “non ricordo”. Ho incontrato Arata e ho riferito in Commissione Antimafia con precisione date e orari.

L’indomani invece Repubblica ha titolato: “Miccichè smentisce incontro con Arata”. Falso!

Se Repubblica avesse voluto titolare in maniera corretta avrebbe dovuto scrivere “Miccichè smentisce incontro con Cocina e Arata”, invece ha preferito mistificare la notizia e farmi passare per smemorato, o peggio, per bugiardo”.

E nella giornata di ieri ha risposto a Miccichè l’Associazione siciliana della stampa: “Non è ammissibile che un momento istituzionale, peraltro di natura conviviale, si trasformi in un processo pubblico a una testata giornalistica. L'on. Micciché, se ritiene di essere diffamato, ha tutti gli strumenti per difendersi nelle sedi opportune. Quello che non può fare è mettere all’indice in modo maldestro e improprio il lavoro scrupoloso dei colleghi, parlando a sproposito di libertà di stampa e nei fatti alterando la normale dinamica dei rapporti fra l'istituzione e gli organi di informazione”.