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03/08/2019 07:42:00

Sicilia, nel mare si diffonde il pesce scorpione: un pericolo per bagnanti e pescatori

 I voraci pesci scorpione (Pterois miles), chiamati anche pesci leone, sono stati recentemente avvistati in aree marine protette al largo di Cipro, Grecia, Rodi, Turchia e ora anche in Italia nel basso Adriatico e Sicilia.

I pesci scorpione e i loro simili, i pesci leone rossi (Pterois volitans), originari dell’indo-pacifico e molto diffusi nel Mar Rosso, alti fino a 8 centimetri, che portano spine dorsali velenose sulla schiena, sono specie invasive che nel Mediterraneo potrebbero avere gravi effetti sull’economia e gli ecosistemi e che hanno già causato danni lungo le coste degli Usa e dei Caraibi.

I biologi, infatti, ritengono il pesce leone un fattore di pericolo potenzialmente devastante per la biodiversità del Mediterraneo e dunque per l’intero ecosistema marino. L'impatto ecologico è stato devastante: in questi habitat il pesce scorpione non ha predatori naturali ed è invece un predatore molto aggressivo. Come se non bastasse, è una specie pericolosa anche per l'uomo, a causa del potente veleno delle sue spine che rimane attivo fino a due giorni dopo la morte. La pericolosità della specie resta elevata anche su esemplari pescati da diverse ore: la specie è commestibile, ma nelle operazioni di pulizia bisogna stare attenti a non pungersi. Nel giro di un solo anno, questi pesci si sono trasferiti in quasi tutta la costa sud-orientale greca. Secondo gli studiosi il trasferimento è stato favorito dal surriscaldamento globale, fenomeno che ha alzato la temperatura del Mediterraneo permettendo a questa specie di trovare le condizioni ottimali di vita. Nel quadro del piano MedMIS per la lotta contro le specie invasive nelle aree marine protette del Mediterraneo, l’Iucn ha confermato le nuove osservazioni e lanciato l’allarme su una possibile invasione di Pterois miles, che ha già dimostrato di essere una specie aggressiva che si propaga in maniera spettacolare. MedMIS, è un sistema di informazione online che permette di tenere sotto controllo le specie esotiche invasive in diverse aree marine protette del Mediterraneo e già oggi molte specie invasive di pesci, molluschi, meduse e crostacei si sono installate in oltre 180 Aree protette in 19 Paesi del Mediterraneo e minacciano di sostituire la flora e la fauna autoctone, costituendo così un problema di gestione per la conservazione della biodiversità. Le aree marine protette di Kas-Kekova (Turchia) e di Cape Greco (Cipro) sono i luoghi dove sono stati avvistati a più riprese i pesci scorpione, ma i primi pesci scorpione/leone avvistati nel Mediterraneo sono quelli trovati già nel 1991 nella baia di Haifa, in Israele. Nel 2012 i pesci scorpione sono stati visti in Libano e nel 2013 a Cipro, poi ci sono stati altri avvistamenti in Turchia e nella baia di Iskenderun a Ciprio e nelle acque tunisine, al di fuori di aree marine protette. A Cipro sono state osservate diverse coppie riproduttive e ormai, in tutto il Mediterraneo orientale e meridionale non si tratta più di avvistamenti isolati. La comparsa di questi predatori nel Mediterraneo comporta anche effetti nocivi per le comunità di specie autoctone: il pesce scorpione è molto aggressivo e all’apice della catena alimentare ed ha un forte impatto sugli individui giovanili di altre specie. Inoltre, l’invasione dei pesci leone può innescare un aumento delle alghe causato dalla riduzione delle specie di pesci che se ne cibano e che possono contribuire all’arrivo di altre specie invasive per il depauperamento della fauna e della flora locale. Secondo gli esperti, potrebbero essere stati introdotti sia da amatori che avrebbero acquistato questi pesci leone per i loro acquari e li avrebbero rilasciati nel lor ambiente naturale, e sia attraverso il Canale di Suez che collega il Mar Rosso al Mediterraneo. Le acque di zavorra delle navi cargo, sono in effetti un nascondiglio ideale per le specie invasive. Nei Caraibi la comparsa dei pesci leone ha provocato la diminuzione delle popolazioni di cernie e di altri pesci importanti dal punto di vista commerciale, con effetti negativi per le comunità costiere che dipendono dalla pesca, ma possono avere un forte impatto anche sulla pesca artigianale e sportiva e sul turismo balneare e subacqueo, perché la presenza di questi animali velenosi scoraggia turisti e sub. La dolorosissima puntura del pesce scorpione/leone deve essere trattata immediatamente perché può causare reazioni allergiche, anche se è difficile che possa uccidere un essere umano sano. Il veleno, essendo un complesso proteico, viene rapidamente denaturato e le vittime sono incoraggiati ad applicare calore alla zona interessata, sia tramite acqua calda che con un asciugacapelli. Inutile dire che si deve prestare attenzione perché altrimenti scottature e ustioni possono essere più problematiche di quanto sia il veleno. Urina o aceto invece non hanno alcun effetto. Se la loro diffusione sarà rapida e incontrollabile come nell’Atlantico, bisognerà solo sperare che i nostri predatori autoctoni li aggiungano alla loro dieta e che i nostri ristoranti li aggiungano sui loro menù. La speranza è che la fauna locale si adatti, almeno nel lungo periodo, in particolare nel Mediterraneo, dove la pesca eccessiva ha ridotto la popolazione dei potenziali predatori a livelli trascurabili. L’unica soluzione per contenere la loro diffusione e tenerne le popolazioni sotto controllo sembra però essere quella di mangiarsi i pesci scorpione. Nei Caraibi, Paesi come Cuba, Colombia e Bahamas hanno incoraggiato la popolazione a mangiare i pesci scorpione/leone dopo aver tolto loro le spine velenose, ma diversi pescatori li rigettano in mare perché pensano siano completamente velenosi, mentre la loro carne è in realtà deliziosa. Quindi, per evitare una possibile invasione su larga scala, resta solo da sperare che diventino commercialmente interessanti per le comunità di pescatori e i ristoratori. E’ certamente un paradosso che, mentre l’eccesso di consumo di pesce mette a rischio la biodiversità marina, mangiare il pesce scorpione potrebbe rappresentare l’happy end per questo nuovo rischio per la biodiversità del Mediterraneo