E’ la crisi più pazza di agosto, da sotto l’ombrellone, dall’auto, da spiagge affollate o da un bar non si parla di altro: il governo che verrà.
Le consultazioni di Sergio Mattarella non hanno trovato la via maestra, c’è tempo fino a martedì quando inizierà un altro e definitivo giro di consultazioni. Senza accordo non ci saranno alternative al voto.
Si è consumata ieri sera una cena tra Luigi Di Maio, leader del Movimento Cinque Stelle, e il segretario nazionale del Pd, Nicola Zingaretti. I pentastellati muovono da una condizione: Giuseppe Conte non deve lasciare Palazzo Chigi, ne è convinto pure Beppe Grillo che si è lanciato, in chiave ironica, a creare l’assist giusto.
I Cinque Stelle hanno stilato i dieci punti fondamentali per un governo di legislatura, sono i punti di una campagna elettorale, a leggerli bene sono quelli che stavano attuando al governo insieme con la Lega.
Dentro il movimento sono diverse le anime pensati, Di Battista ma anche Paragone sono nettamente contrari all’inciucio con il Pd, auspicano il ritorno al contratto di governo con Matteo Salvini ovvero elezioni. Di Battista è pronto ad avere un ruolo centrale, possibilmente con un Ministero, ma ribadisce il forte potere contrattuale che in questo momento hanno i Cinque Stelle.
Il governo giallorosso potrebbe avere più di un problema, il Pd ha posto una serie di condizioni: totale discontinuità dal passato, abolizione dei decreti sicurezza , niente Conte bis.
Condizioni che snaturerebbero il percorso governativo finora fatto dai grillini e che per questo li metterebbe alla gogna mediatica. In questa lunga cena tra Di Maio e Zingaretti pare che proprio il nome di Conte non possa essere messo in discussione. Dai dem parte il “No” secco ad un Conte bis, il Pd resta il partito con più partiti dentro, quella che loro chiamano unità di intenti è rappresentata da non più di dieci anime, ognuno dice la sua in maniera nemmeno silente. Da Carlo Calenda a Matteo Renzi è un pullulare di azioni e di pensieri lanciati alla stampa o sui social. Le faide si sono trasformate in fazioni, spesso in tifoserie parlamentari.
Zingaretti lascia il tavolo della trattiva, non gli interessano i ministeri di peso offerti da Di Maio e nemmeno il nome di Paolo Gentiloni come commissario italiano per l’Unione Europea. Niente da fare.
Il Partito Democratico ha più di una spina da togliere, Renzi agisce in piena autonomia, ha una leadership che se non gli viene riconosciuta sa come riacciuffarla. E’ un susseguirsi di dichiarazioni, a volte anche inopportune. Non sarà sfuggito a molti che il Conte bis, inviso a Zingaretti, è gradito a Renzi in linea con Grillo. Perché in verità quello che ai renziani preme è non consegnare il Paese alle urne. Verrebbero decimati dal fuoco amico del loro stesso partito.
Si avvicinano le elezioni? Anche no. Si potrebbe riavvicinare un nuovo contratto di governo con Matteo Salvini, che ha già dichiarato che è pronto a sedersi al tavolo con i grillini e a riconscere a Di Maio il ruolo di Presidente del Consiglio.
La politica di oggi si incarna sia diavolo che acqua santa, senza rossore in volto. Le giravolte dei politici sono meglio di un lancio dal parapendio. Si sono offesi, ingiuriati, calpestati, posti veti. A distanza di mesi tornano ad abbracciarsi. Ed ecco perché il Pd perde credibilità, lo stesso per i Cinque Stelle.
Solo qualche mese fa, maggio, Di Maio accusava sia il Pd che Forza Italia: “La vera natura del Pd è quella di difendere privilegi e perseguire interessi personali: è per questo che il governo deve andare avanti. Questa gente che sia Pd o Forza Italia deve stare all'opposizione, perché in maggioranza continuerà a sperperare i nostri soldi per i loro privilegi”.
Avranno perso la memoria tra una bibita e un colpo di sole.