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04/09/2019 04:00:00

Il medico (e l'ospedale) che salvano Pantelleria

Un interessante articolo sull’ospedale di Pantelleria è apparso sul quotidiano Avvenire, a firma di Alessandra Turrisi, autrice del libro “La Scelta Volontaria”, presentato qualche giorno fa al Castello di Pantelleria.

Non è facile vivere su un’isola in mezzo al Mediterraneo, più vicina alla Tunisia che alla Sicilia. Neanche se quel fazzoletto di terra vulcanica di 83 chilometri quadrati è la magica Pantelleria, con scogliere mozzafiato e mare cristallino, terme naturali e dolcissimo zibibbo. Ma Rosa Maria Di Piazza, per tutti Marisa, quando vide per la prima volta l’antico dammuso di contrada Dakhalè in cui sarebbe andata ad abitare col marito e avrebbe messo su famiglia, da raggiungere attraverso una mulattiera, esclamò: «Io voglio vivere qui». E lì è rimasta, per 31 anni, a curare malati di ogni età e provenienza geografica, residenti, turisti e migranti, memoria storica dell’ospedale Nagar di Pantelleria, capace di presidiare reparto e pronto soccorso a Natale, Santo Stefano e Capodanno, «perché se i colleghi che devono arrivare dalla terraferma sono bloccati dal maltempo, qualcuno deve pur garantire il servizio».

Così inizia l'articolo.

"La dottoressa Di Piazza - continua l'articolo -è un moto perpetuo. Assieme ai suoi coraggiosi colleghi garantisce un servizio primario in un’isola tagliata fuori dal mondo alla prima mareggiata o col vento proibitivo per decolli e atterraggi. In un mondo sanitario spesso bersagliato da tagli al personale e ai posti letto, fatto oggetto di continue aggressioni da parte di parenti esasperati o di malintenzionati, l’ospedale Nagar rappresenta una trincea certa, vista porto. Originaria di Bagheria, un grosso centro alle porte di Palermo che ha dato i natali a Renato Guttuso e Giuseppe Tornatore, Marisa ha incontrato il suo futuro sui banchi del Policlinico universitario del capoluogo, tra un servizio ai tavoli nel ristorante di famiglia e un tirocinio in reparto. «Ho incontrato Sandro all’ultimo anno di Medicina all’Università, poi abbiamo fatto la specializzazione, io in geriatria e lui in medicina interna – racconta –. Ho messo piede a Pantelleria, la terra del mio fidanzato, per la prima volta nel 1986. Sulla nave che si avvicinava, mi sembrò uno scoglio. Appena approdata mi piacque tutto: l’isola, l’ambiente, la gente. Andammo a vedere un antico dammuso che apparteneva al nonno di mio suocero, in piena campagna: me ne innamorai. Nel dicembre dello stesso anno tornai per sostituire un medico di famiglia a Scauri, una frazione dell’isola. Non potete immaginare l’accoglienza degli abitanti». Due anni di viaggi in nave e in aereo e nel 1988 la dottoressa Di Piazza era diventata la moglie del dottore Casano. Marisa e Sandro sono sempre stati una coppia solida, nella vita così come nella professione. Non che i primi anni, con i bambini piccoli e gli orari impossibili dei medici, siano stati una passeggiata. Marisa Di Piazza li ricorda ancora con ansia mista a tenerezza. «La mattina lasciavo tre bambini, la casa e sparivo per turni lunghissimi – ricorda –. Ma la mia passione per questo lavoro mi ha permesso di superare i momenti difficili e crescere la mia famiglia».

La dottoressa Di Piazza è dal 2006 responsabile della divisione di Medicina e da qualche tempo referente di direzione sanitaria (che invece è a Trapani), in un presidio ospedaliero con una dozzina di medici, di cui solo quattro o cinque stanziali, trenta infermieri, tutti i reparti, da cardiologia a ostetricia, da chirurgia a dialisi, ma che è un avamposto preziosissimo in una terra che altrimenti potrebbe affidare le proprie cure solo all’elisoccorso. Dopo 31 anni di servizio conosce tutti sull’isola, che conta 7.500 abitanti in inverno, ma fa lievitare le presenze appena comincia la bella stagione, at- tirando vip e turisti da ogni parte del mondo. «Le generazioni passano da qui, per nascite, emergenze, cure. È’ un bene conoscere la storia delle varie famiglie, anche per programmare terapie appropriate» dice, mentre bacchetta amabilmente un’anziana che va a trovare un familiare in ospedale e raggiunge il piano superiore per le scale pur avendo una grave cardiopatia: «Usi l’ascensore, signora, altrimenti la sua situazione può peggiorare».

Un medico su un’isola è sempre pronto all’emergenza. «Magari non accade mai niente, ma quando succede qualcosa a Pantelleria, rischia di essere sempre una tragedia o comunque qualcosa di veramente grave» pesca nella memoria una valanga di episodi. Come si fa a dimenticare quella bambina di pochi anni investita in contrada Khamma da un’auto e arrivata al pronto soccorso praticamente morta: «Il cardiologo fece di tutto per rianimarla, ma non ci fu niente da fare. Ero distrutta. Andai a prendere i miei bambini all’asilo e li strinsi forte forte, piangendo». E poi il tragico naufragio nell’aprile 2013, quando un barcone con 198 migranti a bordo sbagliò rotta e finì sugli scogli di Pantelleria. Ci fu una mobilitazione generale: forze dell’ordine, volontari, ambulanze. «Organizzammo l’accoglienza per i naufraghi assiderati qui al piano terra, svuotando la cappella e sistemando coloro che non entravano nei reparti già pieni – vede ancora il caos di quei momenti –. Per tre di loro non ci fu nulla da fare». Uno dei morti era una donna congolese, ripescata in mare, mamma di cinque figli. Il compagno e i figli sono rimasti sull’isola, “adottati” dalle famiglie del luogo. Quanti amici e amiche accompagnati all’estremo saluto, a causa di tumori inarrestabili, «anche la parrucchiera che si occupò dell’acconciatura di mia figlia per la Prima Comunione» sospira. E quanti anziani stabilizzati e rimessi in attività dopo polmoniti o malattie acute. «Qui ci sono numerosi ultracentenari. Una volta una di loro, che avevo curato, tirandola fuori da una situazione grave, mi ha invitato alla festa per i suoi cento anni. Una signora bellissima, a cui ho regalato una sciarpa rosa di lana, che ha indossato subito». Il medico, su un’isola, è il punto di riferimento per tutti. Può concedersi brevi vacanze lunghe appena un week- end, perché il personale in ospedale è sempre insufficiente. «Di notte poi avvengono sempre le cose più gravi: avvelenamenti, annegamenti, emorragie cerebrali. E spesso chi è di turno si trova solo ad affrontarle. Non ci sono festività e impegni familiari che tengano». Ma i figli non devono essersi sentiti troppo trascurati, se Angelo, Giuseppe e Maria Grazia Casano, che oggi sono grandi e i due maschi hanno già completato l’università, hanno scelto di intraprendere strade legate alla medicina, alla farmacia e alla cura per l’altro, sulle orme di mamma e papà". 

Fonte:Avvenire