«Lascio il Pd». Con queste parole ieri, in una telefonata, Matteo Renzi avrebbe confermato al premier Giuseppe Conte che darà vita ai suoi gruppi parlamentari. Ma lo farà offrendo «pieno sostegno al governo».
Una scissione che porterà alla creazione di un nuovo partito, moderato e riformista. Alla «cosa nuova» aderiranno una ventina di deputati (Boschi, Giachetti, Annibali eccetera) e poco meno di una decina di senatori. Tra loro anche la ministra dell’Agricoltura Teresa Bellanova che sarà la capo delegazione nel governo. Renzi, poi, sta cercando di convincere anche i parlamentari di Forza Italia che di Matteo Salvini non ne vogliono più sapere. Tra quelli che non seguiranno Renzi: il sindaco di Firenze Dario Nardella, renziano della prima ora, e il primo cittadino di Bergamo Giorgio Gori. Non saranno della partita nemmeno Debora Serracchiani né i due neosottosegretari Alessia Morani e Simona Malpezzi. Restano nei dem anche Luca Lotti e Lorenzo Guerini con tutta la loro corrente Base riformista.
«L’operazione renziana nasce da lontano, l'ex segretario ha deciso a luglio di far nascere il suo partito. E per avere più tempo per organizzare la sua nuova creatura ha evitato di precipitare verso le elezioni di ottobre (il progetto di Salvini), favorendo per primo la trattativa di Ferragosto tra M5s e Pd. Per la stessa ragione in estate ha spinto il pedale dell’acceleratore sul fronte delle donazioni a favore dei suoi comitati Azione civile - Ritorno al futuro: ammontavano a 20mila euro a giugno, sono arrivate a 260mila a luglio e a 220mila ad agosto. Tutte regolarmente registrate. Tra i maggiori finanziatori (100mila euro) Daniele Ferrero, primo azionista e ad di Venchi (il colosso del cioccolato), e Davide Serra, il finanziere con sede e residenza nella City fondatore di Algebris».
Ecco un estratto dell'intervista di oggi a Repubblica:
Ha davvero deciso lo strappo?
«I gruppi autonomi nasceranno già questa settimana. E saranno un bene per tutti: Zingaretti non avrà più l’alibi di dire che non controlla i gruppi pd perché saranno "derenzizzati". E per il governo probabilmente si allargherà la base del consenso parlamentare, l’ho detto anche a Conte. Dunque l’operazione è un bene per tutti, come osservato da Goffredo Bettini. Ma questa è solo la punta dell’iceberg. Il ragionamento è più ampio e sarà nel Paese, non solo nei palazzi».
Cosa non ha ottenuto dalla nascita del nuovo governo che giustifichi l’addio?
«Non è questo il punto. Se penso a come erano rappresentate le istituzioni un mese fa dico che il Conte bis è un miracolo. Aver mandato a casa Salvini resterà nel mio curriculum come una delle cose di cui vado più fiero».
Adesso però lei spacca il Pd indebolendo proprio il fronte anti-Salvini. Che senso ha?
«È il contrario. Abbiamo fatto un capolavoro tattico mettendo in minoranza Salvini con gli strumenti della democrazia parlamentare. Ma il populismo cattivo che esprime non è battuto e va sconfitto nella società. E credo che le liturgie di un Pd organizzato scientificamente in correnti e impegnato in una faticosa e autoreferenziale ricerca dell’unità come bene supremo non funzionino più».
L’unità è una richiesta che viene soprattutto dalla base. Zingaretti ha fatto di tutto per mantenerla. Cos’è che gli rimprovera?
«Non ho un problema personale con Zingaretti, né lui ha un problema con me. Abbiamo sempre discusso e abbiamo sempre mantenuto toni di civiltà personali. Qui c’è un fatto politico. Il Pd nasce come grande intuizione di un partito all’americana capace di riconoscersi in un leader carismatico e fondato sulle primarie. Chi ha tentato di interpretare questo ruolo è stato sconfitto dal fuoco amico. Oggi il Pd è un insieme di correnti. E temo che non sarà in grado da solo di rispondere alle aggressioni di Salvini e alla difficile convivenza con i 5 Stelle».
Rischia di passare alla storia come colui che ha ucciso il partito che aveva l’ambizione di unire la tradizione socialdemocratica e quella cattolica, i Ds e la Margherita. Lo sa?
«Ma dai! Sono cinque anni che mi dite che rovino il Pd. Basta con questa tiritera sul passato. C’è un futuro ricco di difficoltà, ma bellissimo, là fuori. Lo andiamo a prendere? Lo costruiamo? O ci limitiamo ad aspettarlo rinchiusi nelle nostre correntine? Diciamo la verità: c’è una corrente culturale nella sinistra italiana per la quale io sono l’intruso».
Quanti verranno con lei?
«I parlamentari saranno trenta, più o meno. Non dico che c’è un numero chiuso, ma quasi. La vera sfida saranno le migliaia di persone che sul territorio faranno qualcosa di nuovo e di grande. E la Leopolda sarà un’esplosione di proposte. Ci riconoscerete dal sorriso, non dal rancore. Voi la chiamate scissione, io la chiamo novità. E non mi sentirete mai parlare male di Zingaretti o Orlando o Franceschini: a loro mando un abbraccio e auguro buon lavoro. Quando una storia finisce, finisce. Restiamo amici, se vi va. Ma anche se non vi va, per noi non sarete mai nemici».
Come si chiama il nuovo partito?
«Il nome non glielo dico, ma non sarà un partito tradizionale, sarà una casa. E sarà femminista con molte donne di livello alla guida. Teresa Bellanova sarà la capo delegazione nel governo. Una leader politica, oltre che una ministra. Per me le donne non sono figurine e l’ho sempre dimostrato. In ogni provincia a coordinare saranno un uomo e una donna: la diarchia è fondamentale per incoraggiare la presenza femminile».