“E’ in carcere dal 2007 – dice uno degli avvocati difensori – non poteva dare, quindi, un contributo sui fatti più recenti. E quello che ha detto non ci sembra rilevante”.
E così che un legale descrive le deposizioni del “dichiarante” mazarese Giuseppe Sucameli, 71 anni, ex architetto del Comune di Mazara, ritenuto vicino a Cosa Nostra, ascoltato per due giorni nell’aula-bunker del carcere di San Vittore, a Milano, in due processi di mafia in corso davanti il Tribunale di Marsala.
Quello scaturito dall’operazione “Visir”, che vede alla sbarra l’imprenditore edile marsalese Michele Giacalone, 49 anni, Alessandro D’Aguanno, di 28, e i mazaresi Andrea Antonino Alagna, di 39, e Fabrizio Vinci, di 49, e quello che vede imputato il 56enne presunto boss mazarese Matteo Tamburello, arrestato l’11 dicembre 2018 (operazione “Eris”) con le accuse di associazione mafiosa e violazione delle misure di prevenzione.
Sia Tamburello che i primi tre imputati del “Visir” sono difesi dall'avvocato Luigi Pipitone, mentre legale di Vinci è Vincenzo Catanzaro. Giuseppe Sucameli è stato arrestato e condannato nell’ambito dell’operazione antimafia “Eolo” (2009) e dell’operazione antidroga “El Dorado” (febbraio 2008).
Nel “Visir”, Sucameli ha parlato di Fabrizio Vinci. Ma riferendo circostanze che avrebbe appreso, nel tempo, da altri. E alcuni di questi, per altro, non sono più in vita. E quindi non possono confermare o smentire. Per gli altri, il difensore di Vinci valuterà se chiedere di ascoltarli in aula oppure no. Nel processo a Matteo Tamburello, invece, Sucameli ha sostanzialmente affermato che i suoi rapporti erano, in realtà, con il padre dell’imputato: Salvatore Tamburello, morto il 5 agosto 2017, all’età di 85 anni. Negli anni ’90, Tamburello senior era stato condannato per mafia. Poi, era stato accusato anche di essere stato, per alcuni periodi, reggente della famiglia mafiosa mazarese, ma il 4 giugno 2009, il Tribunale di Marsala, pur condannandolo come appartenente a Cosa Nostra, ne escluse il “ruolo direttivo”. Nell’ottobre del 2006, Salvatore Tamburello fu arrestato dai carabinieri, insieme al figlio Matteo e al genero Giovanni Giacalone, perché dalle indagini era emerso che l'anziano boss, nonostante lo stato di detenzione, avrebbe continuato, secondo l’accusa, a dettare ordini, che venivano eseguiti tramite l'intermediazione del figlio. Nel giugno 2009, il Tribunale di Marsala condannò il padre a 3 anni di carcere (in “continuazione” con una precedente sentenza) e il figlio a 9 anni e 4 mesi. Adesso, Sucameli ha riferito che i suoi rapporti erano con il più anziano dei due Tamburello. E in queste dichiarazioni l’avvocato difensore Luigi Pipitone coglie uno spiraglio favorevole al suo cliente.