Come era prevedibile, diverse città siciliane hanno manifestato nel corso degli ultimi mesi la loro resistenza ai vari “declassamenti”, relativi alla nuova rete ospedaliera voluta dalla Regione siciliana cercando di difendere l’identità dei propri ospedali.
Sindaci, movimenti, comitati ed associazioni si sono mossi un po’ in tutta l’isola, nei luoghi in cui la nuova riorganizzazione sanitaria ha inciso più pesantemente.
Non è però detto che problemi atavici come la carenza di medici e le lunghe liste d’attesa, potranno essere risolti da questa riorganizzazione ospedaliera.
Anche perché, al di là delle legittime battaglie contro il declassamento del proprio ospedale, non bisognerebbe trascurare la centralità del paziente, la sua sicurezza e la qualità dell’intervento sanitario.
Ne abbiamo parlato con Giovanni Bavetta, che è stato dirigente medico, primario, direttore sanitario di Villa Sofia e dell’ospedale Cervello di Palermo e per circa due anni commissario dell’ASP di Trapani.
Come sta oggi la sanità siciliana? E in che cosa si differenzia rispetto a quella delle altre regioni d’Italia?
Non è più sostenibile che ogni regione abbia un proprio sistema sanitario. Ci sono regioni virtuose, che hanno avuto il coraggio e la lungimiranza di approvare delle riforma, mentre altre sono rimaste impantanate in un sistema per niente innovativo, dovuto ad una classe politica incapace di affrontare il problema alla radice, sempre alla ricerca del consenso elettorale immediato e priva di un’efficace capacità di pianificare il futuro delle nuove generazioni. La sanità siciliana costa 9,1 miliardi di euro l’anno, più della metà dell’intero bilancio regionale. Occorre urgentemente una riforma che riduca drasticamente queste risorse senza mettere a repentaglio l’universalità, l’efficacia e l’efficienza del nostro sistema sanitario.
Che ne pensa della nuova rete ospedaliera dell’assessore Ruggero Razza e dei nuovi atti aziendali?
Sono solo pannicelli caldi, compresa la rete ospedaliera che era stata approvata dall’assessore Gucciardi. La soluzione dell’assessore Razza poi, di trovare subito dei medici per i pronto soccorso facendo fare loro una formazione di poche ore, priva di specializzazione specifica è un’idea interessante, ma creerà inevitabilmente una discrasia difficile poi da gestire in termine di diritto, per l’acquisizione delle specifiche competenze professionali e per i pericolosi risvolti nel contenzioso medico legale che questi futuri medici affronteranno.
Lei cosa proporrebbe?
Io proporrei una riforma radicale, un vero riordino dell’assetto istituzionale e organizzativo del servizio sanitario della Regione Sicilia sul modello già approvato e fortemente voluto dall’ assessore Massimo Russo (legge 5/2009).
Se si vuole migliorare la qualità dei servizi e nel contempo assicurare la sostenibilità e il carattere pubblico e universale del sistema sanitario, vista anche la riduzione dei trasferimenti statali in ambito regionale, è necessario, secondo me, avviare un processo di riordino complessivo del servizio sanitario regionale, rafforzando la programmazione di area vasta e prevedendo una riduzione delle attuali aziende sanitarie e aziende sanitarie provinciali da diciassette a cinque.
Cinque aziende sanitarie per l’intera isola? Non sono poche?
Assolutamente no. Il modello, opportunamente definito e sviluppato, permetterebbe di migliorare la qualità dei servizi, potenziare gli aspetti di didattica e ricerca e il governo complessivo del sistema.
Per evitare duplicazioni, sprechi di risorse, volumi di attività inadeguati, insufficiente utilizzo delle tecnologie, bisognerebbe individuare 1/2 grandi ospedali (da 300/400 posti letto), organizzati per intensità di cura, per diventare centri di riferimento d’eccellenza per un’area di almeno un milione di abitanti. Gli altri piccoli ospedali potrebbero diventare dei centri specialistici satelliti (centri oncologici, ortopedici, cardiologici, di riabilitazione ecc.). Ma soprattutto potrebbero diventare dei centri integrati per la gestione delle malattie croniche e della medicina preventiva (la tanto enunciata e mai attivata medicina del territorio).
La revisione dell’assetto istituzionale e organizzativo di questo nuovo servizio sanitario metterebbe al centro di tutto la salute, come diritto per il singolo cittadino e dovere della collettività. Gli elementi fondanti del sistema sanitario regionale diventerebbero i cittadini e le associazioni dei malati, i professionisti e la programmazione. Ci sarebbe uguaglianza, umanizzazione e personalizzazione delle cure, oltre alla valorizzazione delle risorse umane, della professionalità e delle competenze in ogni ruolo e profilo professionale, valorizzando la medicina generale e dei pediatri di libera scelta. E poi, appropriatezza ed eticità delle cure, equità di accesso ai servizi e uniformità nei livelli di assistenza e promozione della ricerca e dell'innovazione in tutti gli ambiti organizzativi e professionali.
E i dipartimenti sarebbero interaziendali, di area vasta. Dalla diagnostica per immagini alle specialità chirurgiche; dalla prevenzione alla cura della malattia oncologica, fino alla diagnosi e cura delle malattie cardiovascolari.
Come verrebbero distribuite le cinque macro aziende sanitarie?
La prima area comprenderebbe le aziende ospedaliere, universitarie e Asp di Palermo, la seconda di Catania, la terza di Messina ed Enna, la quarta comprenderebbe Ragusa, Siracusa e Caltanissetta e la quinta Trapani ed Agrigento.
In attuazione delle linee di indirizzo ed in coerenza con la programmazione regionale e con gli atti del commissario di area vasta, il direttore generale dell’azienda ospedaliero-universitaria, ferme restando le prerogative dell’azienda medesima, curerebbe l’elaborazione del processo di riorganizzazione aziendale al fine di renderlo coerente con l’organizzazione e la programmazione di area vasta, in particolare in merito all’istituzione dei dipartimenti interaziendali di area vasta e ai modelli convenzionali che favoriscono l’integrazione tra assistenza, ricerca e didattica.
Che risparmi comporterebbe questa riforma?
Con questa riforma si risparmierebbe il 20 % della spesa sanitaria regionale (circa 2 miliardi di euro annui), sarebbe meno drammatico l’impatto della carenza di medici (con una riprogrammazione delle scuole di specializzazione avremmo più medici preparati) e si proietterebbe la sanità nel futuro, quella capace di accogliere le nuove sfide tecnologiche ed i nuovi saperi.
Come la mettiamo però con la potenziale conflittualità tra la Regione siciliana ed il governo nazionale?
Io penso che nella politica debba sempre prevalere il bene comune e che le istituzioni debbano sempre collaborare al di là del colore politico, ma in questa materia il primo passo dovrebbe farlo il ministero della salute (il precedente ministro Grillo, da medico, aveva già capito che questa era la strada da percorrere) attraverso la conferenza Stato-Regione, dovrà trovare una soluzione legislativa che armonizzi le varie leggi in materia di sanità già esistenti delle varie regioni (abbiamo 20 sistemi sanitari) al fine di garantire un unico S.S.N. efficace, efficiente, sostenibile, universalistico, con standard uguali per tutti i cittadini. Un sistema che tutto il mondo ci invidia e che occorrerebbe far sì che non rimanga solo sulla carta.
Egidio Morici