I tumori delle vie biliari colpiscono soprattutto gli uomini e in particolare dopo i 70 anni. In Italia ogni anno si registrano circa 5mila nuovi casi, che nella grande maggioranza vengono scoperti in fase avanzata perché non danno segni evidenti della loro presenza agli esordi. Anche per questo restano fra le neoplasie più letali.
Cosa sono?
I tumori delle vie biliari sono un gruppo eterogeneo di neoplasie del fegato diverse che hanno in realtà origine a partire dai dotti biliari, i canali che trasportano la bile dal fegato all’intestino. Si distinguono in base alla loro sede d’insorgenza in: colangiocarcinomi intraepatici, se si sviluppano all’interno del fegato; colangiocarcinomi perilari se presenti all’ingresso dei dotti biliari e dei vasi sanguigni nel fegato; colangiocarcinomi extraepatici, se nascono all’esterno dell’organo; e, infine, carcinomi della colecisti. In totale circa 5000 italiani ogni anno ricevono una diagnosi di carcinoma delle vie biliari.
Quali i sintomi a cui prestare attenzione?
«Mentre per i carcinomi delle vie biliari extra-epatiche i segni e sintomi più comuni sono quelli dell’ittero, colorazione giallastra della pelle e delle sclere oculari (la parte di norma bianca dell’occhio, ndr), urine scure, feci chiare, prurito – spiega Davide Melisi, oncologo al Policlinico di Verona e professore associato di Oncologia all’Università di Verona -. Per i colangiocarcinomi intraepatici i sintomi possono essere meno chiari. Ad esempio perdita di peso o dolore al fianco destro irradiato posteriormente: capita così più spesso che questi tumori vengano diagnosticati “per caso” con esami eseguiti per altre ragioni. Così, in oltre il 60 per cento dei pazienti la diagnosi viene effettuata quando il tumore è in fase avanzata». La presenza di ittero costituisce sempre un più che valido motivo per contattare con una certa tempestività il proprio medico curante.
Chi è più a rischio di ammalarsi?
«Esistono alcune patologie del fegato molto ben riconosciute come fattori di rischio per i tumori delle vie biliari – risponde Melisi -: la colangite sclerosante, la litiasi biliare intraepatica, le cisti del coledoco e alcune infestazioni biliari parassitarie (poco comuni però alle nostre latitudini), l’epatite B e C, la cirrosi epatica e l’obesità fanno lievitare il pericolo di sviluppare un colangiocarcinoma. Altri fattori di rischio comprendono l’età (due pazienti su tre hanno più di 65 anni) e il consumo di alcol (5-6 drink al giorno aumentano di 2-3 volte il rischio di colangiocarcinoma intraepatico). E’ un tumore abbastanza raro, ma chi rientra nelle categorie davvero a più “esposte al pericolo” (come i pazienti affetti da colangite sclerosante) possono eseguire una risonanza magnetica con colangiopancreatografia e il dosaggio del marcatore tumorale Ca19.9 con cadenza annuale. La sorveglianza nei pazienti a rischio più alto aumenta la probabilità di una diagnosi in uno stadio precoce, quanto la malattia è ancora suscettibile di una resezione chirurgica completa».
Cosa si può fare per prevenirli?
«Purtroppo poco – risponde l’esperto -. Mantenere un peso corretto attraverso una dieta equilibrata e fare esercizio fisico regolarmente, così come limitare l’assunzione di alcolici può certamente aiutare a ridurre il rischio di ammalarsi. E se si viaggia spesso in aree dove le parassitosi (infezioni parassitarie) biliari sono comuni, soprattutto in Asia, ricordarsi di non assumere acqua non purificata o cibi crudi».
Quali esami servono per la diagnosi?
Esami radiologici utili alla diagnosi e alla stadiazione comprendono l’ecografia addominale, la tomografia computerizzata o TC con mezzo di contrasto e una particolare risonanza magnetica (RM) con colangiopancreatografia. Queste indagini permettono la caratterizzazione della neoplasia, la sua esatta localizzazione, una stima dell’estensione del coinvolgimento di strutture biliari o vascolari e una valutazione della possibile chirurgia. «Inoltre oggi sappiamo che i tumori delle vie biliari possono avere un numero molto ampio di mutazioni genetiche rilevanti per scegliere la terapia più indicata contro uno specifico “sottotipo” di neoplasia. La profilazione genomica di queste malattie alla ricerca delle mutazioni è già una pratica standard nei maggiori centri mondiali di ricerca e cura e dovrebbe essere suggerita ad ogni paziente affetto da tumori delle vie biliari, specialmente se intraepatici. Più del 50% dei pazienti, infatti, ha almeno una mutazione che possa indicare l’uso di un farmaco a bersaglio molecolare o dell’immunoterapia».
Come si curano: quando è indicata la chirurgia?
«La chirurgia per i tumori delle vie biliari è molto complessa e la sua fattibilità dipende dalla localizzazione della neoplasia e dalla sua estensione – dice Melisi -. Purtroppo, poiché la diagnosi è spesso tardiva e la malattia ha già raggiunto altri organi, solo una piccola percentuale di pazienti risulta operabile (circa il 20%) quando scopre la neoplasia, ma è comunque importante rivolgersi sempre a centri di riferimento con esperienza e ampi volumi di interventi per queste patologie. Mentre per i colangiocarcinomi intraepatici l’intervento è rappresentato da una resezione più o meno ampia di fegato (epatectomia), per le neoplasie delle vie biliari si rendono necessari interventi molto complessi e che richiedono grandi abilità chirurgiche per la resezione anche di parte del pancreas e del piccolo intestino».
Come si curano: quando servono i farmaci?
La chemioterapia può essere utile dopo la chirurgia, perché il colangiocarcinoma in molti casi tende a recidivare e i pazienti vengono così sottoposti a chemioterapia adiuvante per limitare le probabilità di ricaduta. Inoltre i farmaci sono l’unica terapia possibile per la maggioranza di malati che ha già metastasi al momento della diagnosi. «Fino ad oggi, per i pazienti non operabili l’unica indicazione terapeutica era la classica chemioterapia, che però non è molto attiva contro i tumori delle vie biliari ed è inoltre spesso gravata da diversi effetti collaterali per i malati – dice Melisi -. Ma i nuovi farmaci a bersaglio molecolare, che puntano a colpire quelle mutazioni genetiche presenti in determinati tipi di colangiocarcinoma si sono rivelati efficaci e con tossicità molto più lievi».
Esistono nuove terapie?
All’ultimo congresso della Società Europea di Oncologia Medica (Esmo) di Barcellona sono stati presentati i risultati di studi importanti con due nuovi medicinali per il trattamento dei tumori delle vie biliari.«Pemigatinib (in chi ha alterazioni note come fusioni o riarrangiamenti di FGFR2) si è dimostrato utile nella terapia del colangiocarcinoma in stadio localmente avanzato o metastatico resistente alla chemioterapia – conclude l’esperto -: è ancora in sperimentazione, ma appare efficace nel ritardare la progressione della malattia e lo stiamo testando anche come trattamento di prima linea, ovvero come prima strategia subito alla diagnosi. Allo stesso congresso sono stati presentati anche i risultati dell’inibizione di un diverso target (l'enzima isocitrato deidrogenasi 1 o IDH1) con il farmaco sperimentale ivosidenib, che ha migliorato significativamente la sopravvivenza libera da progressione e ha mostrato un trend favorevole nella sopravvivenza globale in pazienti con colangiocarcinoma avanzato portatori di mutazioni dell’enzima IDH1. Se tra mutazioni di FGFR2 e IDH1 possiamo offrire complessivamente una nuova terapia a bersaglio molecolare a oltre un terzo dei pazienti con colangiocarcinoma, la profilazione genomica alla diagnosi dovrebbe diventare un nuovo standard per la cura dei pazienti affetti da questa neoplasia».
Fonte: Corriere.it