Ancora disagi, ancora rivolte nei centri di permanenza e rimpatrio italiani. Da Trapani a Torino passando per Gorizia sono diverse le rivolte avvenute negli ultimi tempi e scaturite da condizioni e trattamento degli immigrati non certo ottimali.
A Torino a meno di un mese dalle ultime rivolte, i migranti hanno dato fuoco alle aree verde e rossa del centro e le fiamme si sono diffuse anche all’area bianca dove vi erano più di 100 persone.
L’area gialla e quella viola, dove era scoppiata la rivolta di novembre, sono tutt’ora inutilizzabili e 60 persone erano state spostate in altri centri tra cui quello di Trapani. Il mese scorso la protesta sempre nel centro Torinese era stata invece in un’altra area con una quarantina di persone alloggiate. A Capodanno, gli ospiti dell’area blu hanno incendiato dei materassi e per questi fatti state arrestate sei persone dalla polizia.
Nel Centro di permanenza per il rimpatrio di contrada Milo a Trapani, la sera di giovedì 2 gennaio verso le 23.30 è avvenuta invece una rivolta che ha portato all’incendio di materassi e coperte in tre padiglioni, rendendo necessario l’intervento dei vigili del fuoco. La protesta pare abbia avuto inizio in vista di un imminente trasferimento.
Nel centro trapanese vi sono 150 posti, ma vi sono solo 45 persone, 24 delle quali erano state trasferite a fine novembre dal Cpr di Torino dopo la rivolta. Ma non sono solo i centri di Torino e Trapani al centro delle rivolte, anche il centro di Gradisca d’Isonzo a Gorizia, riaperto a dicembre, è stato teatro di resistenze ai trasferimenti attraverso atti di autolesionismo. C’è stato chi ha ingoiato lamette, chi palline da ping pong, sapone, e si è reso necessario il ricovero nell’ospedale di Gradisca, dove sono stati sorvegliati a vista. A Gradisca sono 65 le persone provenienti dai centri di Torino e Bari danneggiati dalle rivolte. A dicembre, infatti, proprio al Cpr di Bari, alcuni migranti avevano incendiato tre degli ultimi quattro moduli rimasti sani dopo gli incendi dei mesi scorsi e trenta migranti sono stati trasferiti a Gorizia. La situazione del centro barese è ormai fuori controllo e ci sono serie preoccupazioni per i lavoratori impiegati nella struttura. I dipendenti della cooperativa che gestisce il centro barese hanno protestato per via delle condizioni di lavoro ma anche quelle economiche, visto che non sono stati pagati gli stipendo di novembre e la tredicesima.
I migranti che vengono trattenuti nei Cpr, a differenza dei detenuti nelle carceri, non hanno possibilità di reclamare i loro diritti. Problema, questo, già sottolineato dal Garante nazionale delle persone private della libertà, che ha evidenziato come sia rimasto irrisolto il problema della mancanza, per i migranti, di uno strumento di ricorso per sollevare reclami in merito alle condizioni in cui vengono trattati.
La situazione dei migranti nei lager libici - Se questa è un po’ la situazione attuale in Italia, quella che i migranti vivono in Libia prima di lasciare l’Africa è invece una condizione drammatica dove rischiano di morie in quei lager di raccolta do ve passano prima di imbarcarsi.
Oggi i torturatori dei migranti in alcuni lager libici, sotto il controllo delle autorità, hanno ora un nome e un volto. Riconosciuti spesso sui social e segnalati dalle stesse vittime ad attivisti e giornalisti. Nomi e volti dei boia già segnalati alla Corte penale internazionale dell’Aja perché se la situazione caotica e il conflitto impediscono al momento di acciuffarli, la vicenda del torturatore somalo di Bani Walid, Osman Matammud fa scuola. Arrestato a Milano nell’hub di via Sammartini nel 2017 grazie alle testimonianze delle vittime che se l’erano trovato di fronte dopo averlo visto infliggere stupri, abusi e torture e averlo visto uccidere molte persone, nell’ottobre 2017 è stato condannato in primo grado all’ergastolo.
Criminali e schiavismo - Chi riesce a partire da Tripoli deve pagare un noto boss libico. Si chiama Kelifa, è potente, comanda sulla costa e anche a Sebha, città a sud. Capace di uccidere senza pietà chi non paga o di rivendere ad altri trafficanti centinaia di persone anche se hanno pagato. Ai suoi ordini ha criminali e stupratori di varie nazionalità. Come il libico Hamid, i kapò eritrei Mebratu Medhane e il sudanese Assad. Sono loro i protagonisti di molti racconti dell’orrore dei migranti. E, come i Katchlaf e i Bija, sono le guardie del confine esternalizzato europeo profumatamente pagate da Bruxelles e Roma. Bani Walid è in mano alle milizie, poi ci sono i centri ufficiali, dove si stima siano prigioniere almeno 6mila persone.
Il traffico di esseri umani - Il territorio è controllato da Mohammed Kachlaf, che nonostante sia stato colpito dalle sanzioni Onu per la sua attività di trafficante di esseri umani, è il numero due dell’unità di polizia che contrasta l’immigrazione irregolare (Dcim) e attraverso il suo braccio destro Abdul Rhaman Milad, il famigerato Bija, controlla la guardia costiera largamente sovvenzionata da Roma. Da qui, una quarantina di chilometri a ovest di Tripoli, avvengono le partenze di barconi e gommoni. E qui vengono riportati i migranti catturati in mare. Dunque all’Italia e all’Europa la situazione è nota. Meno noto è quanto accade nel centro. Le testimonianze dei profughi ancora detenuti e dei fuoriusciti parlano sempre di armi, artiglieria pesante e munizioni tenute nei magazzini accanto ai detenuti. Acqua e cibo scarseggiano nei due hangar accessibili alle organizzazioni umanitarie. Nel primo sono prigionieri gli eritrei regolarmente registrati dall’Acnur e provenienti da un altro centro e in attesa di venire evacuati. Nel secondo sono detenuti donne e bambini, il terzo è inaccessibile. Qui c’è la sala delle torture per gli sventurati 'salvati' in mare dalla guardia costiera libica, soprattutto africani subsahariani. Dopo aver pagato i trafficanti per partire, le famiglie devono pagare un riscatto per far cessare le torture. Il direttore della polizia di Zawiyah, Osama, è anche direttore della Guardia costiera. I profughi che sono passati nel blocco chiuso accusano due persone, uno egiziano e l’altro, libico, che hanno lo stesso nome: Mohammed. Dagli altri hangar ogni giorno i detenuti sentono urla e pianti delle vittime.
CALTANISSETTA. Rivolta da parte di alcuni migranti trattenuti presso il centro per stranieri di Pian del lago a Caltanissetta, in seguito alla morte di un tunisino di 34 anni deceduto oggi per cause naturali. A certificare il decesso, il medico legale, intervenuto nel primo pomeriggio di oggi all'interno della struttura. Il magistrato di turno presso la Procura ha disposto l'autopsia, che sarà eseguita nelle prossime ore. L'uomo era stato colpito da due provvedimenti, di espulsione e di trattenimento, emessi rispettivamente dal Prefetto e dal Questore di un'altra provincia. Ieri era andato a letto regolarmente; stamattina e stato trovato morto da personale della cooperativa che gestisce la struttura. In seguito a questo episodio i migranti trattenuti presso il Centro hanno inscenato una protesta, tentando di appiccare il fuoco ad alcuni materassi. Le fiamme, domate dai vigili del fuoco, non hanno arrecato danni. La situazione è ritornata alla calma dopo l'intervento delle forze di polizia e dei militari dell'esercito in servizio di vigilanza. Attualmente si sta cercando di assicurare l'agibilità dei padiglioni interessati dall'incendio.