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18/01/2020 06:00:00

Marsala, malasanità: la morte di Maria Vita Curatolo. A processo cinque medici

Cinque medici del reparto di Neurochirurgia degli Ospedali Riuniti Villa Sofia e Cervello di Palermo sono stati rinviati a giudizio per omicidio colposo in concorso dal gup Antonella Consiglio.

Secondo l’accusa, sarebbero responsabili, per “imprudenza, imperizia e negligenza”, della morte, nel novembre 2012, della marsalese Maria Vita Curatolo, di 40 anni.

Ad essere processati (prima udienza fissata per l’11 giugno prossimo davanti la seconda sezione penale del Tribunale di Palermo) saranno i medici Salvatore Giovanni Barrale, di 66 anni, Stefano Arcadi, di 58, Marika Tutino, di 47, Tiziana Costanzo, di 46, e Silvana Tumbiolo, di 54.

A difendere i sanitari saranno gli avvocati Salvatore Barrale, Giovanni Tropiano, Salvatore Priola, Raffaele Restivo e Paolo Viscò. L’avvocato Maurizio D’Amico, invece, assiste la parte civile, l’ex dirigente scolastico Michela Vinci, madre della donna deceduta il 19 novembre 2012, dopo una settimana di coma.

“Ho compreso solo adesso, dopo aver conosciuto la madre di Curatolo Maria Vita e dopo aver letto le carte del processo – ha detto il legale di parte civile nel corso del suo intervento davanti al gup - che io mi sento completamente e lealmente a servizio di questa causa, perché questa causa ci riguarda tutti. Non di Maria Vita, né della mamma di Maria Vita si parla, ma di noi, di voi, dei nostri figli”. Dopo avere subito, il 3 settembre 2012, un intervento chirurgico all’ospedale di Padova, la paziente si era presentata nel reparto di Neurochirurgia degli ospedali riuniti di Palermo il 19 dello stesso mese “con infezione – si legge nelle carte della Procura palermitana – del sito chirurgico associato a idrocefalo post-chirurgico”. E i cinque medici rinviati a giudizio, secondo l’accusa, “nelle diverse consulenze effettuate, contrariamente a quanto suggerito dalla letteratura medica di settore e nonostante le richieste di consulenza dei medici del reparto di Medicina Interna, nonché viste le condizioni della paziente… si limitavano a proporre la sola terapia antibiotica” ed un altro trattamento “con esclusione dell’adeguato, tempestivo e necessario trattamento chirurgico immediato dell’idrocefalo così cagionando o comunque contribuendo alla evoluzione in edema cerebrale diffuso con danno irreversibile della sostanza bianca fino al coma e al successivo decesso della paziente”. L’intervento chirurgico veniva effettuato nella nottata tra il 12 e il 13 novembre 2012. Ma ormai era troppo tardi. La donna morì una settimana dopo, lasciando marito e due figli di tre e sei anni. “Non si può morire a quarant’anni per una infezione che non doveva essere contratta e che poi poteva essere curata... – ha affermato, in aula, l’avvocato Maurizio D’Amico - Cosa chiediamo noi, se non giustizia? E che quanto accaduto non abbia più a ripetersi”.