“La storia della Shoah non è bastata, ricordare soltanto il passato serve? No. Bisogna capire le emozioni che hanno condotto a quelle situazioni per evitare di fare uscire di nuovo il peggio da noi. Questo è quello che penso”.
Queste parole appartengono ad una delle dieci testimonianze che Mario Calivà (autore del volume dal titolo “Le leggi razziali e l’ottobre del 1943” edito dalla casa editrice Besa Muci) ha raccolto tra gli ebrei che vissero le leggi razziali nella Roma occupata dai nazisti tra l’armistizio dell’otto settembre del ‘43 e la liberazione della città del 4 giugno del ’44.
In apertura del suo intervento Calivà ha raccontato di come è nata l’idea del libro. “ Cominciando a studiare le vicende del secolo scorso che ruotano attorno agli ebrei, è cresciuto in me l’interesse nei confronti di quegli argomenti, ero curioso del come la storia dei singoli si intrecciasse con la storia di ordine generale e di come i numerosi ebrei di Roma fossero riusciti ad andare avanti prima nonostante le discriminazioni delle leggi razziste e poi fossero riuscite ad andare avanti nonostante le angherie dei nazisti dopo l’otto settembre, ero interessato ai sentimenti, alle emozioni che spesso gli storici tralasciano perché si occupano esclusivamente dei grandi meccanismi. Il racconto dei sopravvissuti è stato depositato in questo testo che è diventato una ‘protesi’ della memoria, affinchè la memoria possa essere consultabile e anche confutata perché no. Chiunque raccolga memorie diventi un mediatore di esperienze con l’obiettivo di far riflettere su questioni che sembrano lontane di cui però l’eco è ancora percepibile, occorre mettere in contatto livelli di realtà anche se lontane però cerchiamo di eliminare questa distanza perché il dialogo è una delle basi dei significati culturali”.
Un ruolo altissimo quello affidato dall’autore alla letteratura che può diventare un mezzo capace di far riflettere e di provocare un “effetto sulla società stessa”.
Viviamo nel tempo della cronaca, immersi in un eterno presente sembra che la capacità di diventare custodi di esperienze atroci e terribili, come quelle di chi ha vissuto durante la barbarie nazista, sia venuta meno. Viviamo altresì in tempi in cui scritte che incitano all’odio razziale possono apparire nelle porte delle nostre case vergate da anonimi idioti.
E allora può essere utile ricordare o- in certi casi, perché no?- studiare.
L’autore ricorda le date di quel periodo tragico di storia, il 1938, raccontato nel suo libro: “14 luglio, il manifesto degli scienziati razzisti che è il primo atto di tendenza razzista antisemitica del regime; poi vi è il regio decreto per la difesa delle scuole fasciste emanato il 5 settembre proprio all’inizio dell’anno scolastico in modo da procedere all’immediata applicazione, venivano espulsi dalle scuole tutti gli studenti ebrei, i docenti ebrei le cui cattedre vennero occupate dai docenti non ebrei cosa che spiega il silenzio di molti intellettuali riguardo alle leggi razziali e vennero anche ritirati i testi scritti da autori ebrei; o ancora il Regio Decreto ovvero la legge 1728, i provvedimenti per la difesa della razza italiana del 17 novembre. Nel primo capo si procedette alla sistemazione di tutte le norme relative alla questione razziale a partire dai matrimoni tra persone appartenenti alla razza italiana e alla razza ebraica. Il secondo capo era dedicato interamente agli ebrei, in particolare era considerato ebreo chi era nato da genitori ebrei anche se apparteneva ad una religione diversa, chi era nato da un genitore di razza ebraica e uno straniero, chi era nato da una donna ebrea qualora fosse ignoto il padre, invece non veniva considerato di razza ebraica chi fosse nato da genitori italiani di cui uno solo di razza ebraica che però al primo ottobre del 1938 appartenesse ad una religione diversa da quella ebraica; per finire con l’articolo 10 che stabiliva tutta una serie di disposizioni relative alle professioni che gli ebrei non potevano più svolgere, vennero licenziate molte persone che lavoravano nelle amministrazioni statali, parastatali, militari, gli ebrei non potevano avere alle loro dipendenze “ persone appartenenti alla razza ariana” o essere intestatari di aziende”.
Tutto questo- giova ricordarlo- nonostante gli ebrei avessero combattuto valorosamente durante la prima guerra mondiale. La vita normale sconvolta dalla crudeltà di dittatori rimpianti da qualche sciocco a cui non è stata insegnata la bellezza e il piacere che si prova nello studiare la Storia.
Gli ebrei non poterono più sedersi nelle panchine, andare in spiaggia o mangiare nei ristoranti.
Intervenuta al Parlamento Europeo Liliana Segre ha rammentato con le parole di Primo Levi “ lo stupore per il male altrui”, che “ nessuno che è stato prigioniero” nel campo “ha mai potuto dimenticare”.
Il libro di Mario Calivà è stato presentato alla Feltrinelli di Palermo.
Francesco Graziano