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03/02/2020 07:18:00

E' siciliana la ricercatrice che ha isolato il Coronavirus. Le ultime sul virus in Sicilia

 E' siciliana la ricercatrice che ha isolato il Coronavirus.

E’ siciliana, originaria di Ragusa, Concetta Castilletti, 56 anni, la responsabile della Unita’ dei virus emergenti, specializzata in microbiologia e virologia che ha isolato il coronavirus. Ma il team dello Spallanzani di Roma che sta lavorando per sviluppare le terapie ed un possibile vaccino, è composto da altre due donne: Maria Capobianchi, direttrice del laboratorio di Virologia dell’Inmi Spallanzani, 67 anni, nata a Procida, laureata in Scienze biologiche e specializzata in microbiologia, che dal 2000 lavora allo Spallanzani; Francesca Colavita, 30 anni di Campobasso da 4 anni al lavoro nel laboratorio dopo diverse missioni in Sierra Leone per fronteggiare l’emergenza Ebola.

Un podio “rosa” che viene dal Mezzogiorno d’Italia che si unisce alla grande squadra dello Spallanzani che ha consentito al ministro della Salute Roberto Speranza di dare il grande annuncio: “Abbiamo isolato il virus”. Ed e’ tutto femminile anche il racconto di come si e’ arrivati al sequenziamento. “Abbiamo cullato il virus e abbiamo avuto anche un po’ di fortuna”. Non si sente aria di protagonismo nelle parole di Concetta Castilletti, due figli grandi e una famiglia che la supporta da sempre, a partire dal marito.

“Sono abituati a questo genere di emergenze a casa mia – dice – anche perche’ io non mi ricordo una vita diversa da questa. E’ sempre stato cosi’“. “Ho vissuto la grande emergenza della Sars, di Ebola, dell’influenza suina, della chikungunya, e insieme ai miei colleghi siamo stati spesso in Africa. E’ un lavoro che mi piace moltissimo e non potrei fare altro. Ma la vittoria e’ di tutto il team. Eravamo tutti impegnati, tutta la squadra. Abbiamo un laboratorio all’avanguardia, impegnato 24 ore su 24 in questo genere di emergenze”. E poi Francesca Colavita, la piu’ giovane del team, 30 anni, molisana, esperta nello studio in studio Ebola. Allo ‘Spallanzani’ ha un contratto di collaborazione e lavora presso il laboratorio di Virologia e Biosicurezza. Ha partecipato anche a progetti in Sierra Leone nel laboratorio installato presso il ‘Princess Christian Maternity Hospital’ di Freetown.

POZZALLO. A Pozzallo sono arrivati più di 350 naufraghi soccorsi nel Mediterraneo. E per la prima volta è stato applicato il protocollo previsto dallo stato di emergenza per il coronavirus. Le persone a bordo della nave sono state sottoposte a ben tre controlli medici. Tra loro anche un bimbo di cinque anni. "Niente di allarmante e preoccupante" dicono gli operatori, che piuttosto denunciano di aver trovato i segni di violenze e torture. Un giovane di 18 anni ha raccontato di aver visto morire, in Somalia, i propri genitori, per mano dei terroristi, e sul corpo riportava i segni delle torture subite.

IL GIOVANE SICILIANO. È arrivato da Wuhan e Enna, passando per Vienna e in questo modo, racconta, è riuscito, suo malgrado, a «evitare i controlli». «Sono stato io – dice il 26enne Domenico a il Fatto Quotidiano – a chiedere di essere visitato una volta atterrato a Fiumicino e mi hanno portato nel pronto soccorso dell’aeroporto».

Estendere i controlli per il coronavirus anche agli scali intermedi fa parte del piano del governo per cui presto non dovrebbe più essere possibile per i passeggeri provenienti dalla Cina eludere le procedure di analisi. Domenico è arrivato il 30 gennaio, un giorno prima che venisse dichiarato in Italia lo stato di emergenza.

«Dal pronto soccorso aeroportuale sono uscito senza alcun certificato, solo con qualche raccomandazione, cercavo di dire loro che il quartiere vicino a quello in cui abitavo era stato messo in quarantena, che non ho fatto alcuna profilassi, ma non mi facevano parlare», denuncia.

Ora, dopo aver raggiunto Enna, dove vivono i genitori, pur non presentando i sintomi da coronavirus, si è chiuso in una stanza e indossa una mascherina quando gli capita di parlare con i suoi parenti. Sempre per precauzione, si relaziona con il resto del mondo attraverso una finestra e il cibo gli viene passato da una porta appena socchiusa. «Erano cinque mesi che non tornavo a casa, non ho potuto nemmeno riabbracciare la mia famiglia dopo tutti i timori che hanno passato nelle scorse settimane».